Ricerca sull’ apparato tegumentario
Vaste ricerche multidisciplinari in numerosi campi di applicazione,mi hanno spinto ad approfondire la Biochimica …una materia senza fine…
La cellula rappresenta la vita in tutte le sue organizzazioni.
La Ricerca,il progresso,la tecnologia,non si fermano e grazie ai ricercatori delle Universita’,ogni giorno vi sono delle scoperte fantastiche in tutto cio’ che viene chiamato VITA.
Il mio pensiero va’ verso queste persone,che apportano grandi novita’ in vari settori di studio.
Spesso la Ricerca viene sottovalutata da tutti noi,ma e’ grazie ad essa che la medicina,la farmacia e numerose discipline portano alla cura di numerose patologie.
P. F. Facolta’ di Farmacia Scienza dei Cosmetici
La Pelle
La pelle (o cute) è il rivestimento più esterno del nostro corpo e più in generale, di un vertebrato. Nei mammiferi e in particolare nell'uomo, è l'organo più esteso dell'apparato tegumentario (la sua superficie è di circa 2 metri quadri) e protegge i tessuti sottostanti (muscoli, ossa, organi interni). La pelle è costituita da una serie di tessuti di origine ectodermica e mesodermica, che può avere varia colorazione, struttura fisiologica e organica, andando incontro anche a processi d'invecchiamento più o meno visibili.
Ruolo fisiologico
Come mediatore tra l'organismo e il mondo esterno, la pelle nei vertebrati svolge diverse funzioni:
§ Protezione: in quanto barriera anatomica contro potenziali patogeni ed eventuali agenti nocivi, costituisce la prima linea di difesa dell'organismo contro le aggressioni esterne. Contiene inoltre le cellule di Langerhans, con la funzione di presentare l'antigene, che fanno parte del sistema immunitario acquisito[1][2], infatti la pelle costituisce la prima barriera di difesa contro l'azione di potenziali patogeni[1].
§ Sensibilità: nella cute sono presenti numerose terminazioni nervose che rilevano le variazioni termiche (termocettori), le pressioni (pressocettori), vibrazioni e sensazioni dolorose (algocettori), media il senso del tatto.
§ Controllo dell'evaporazione: la pelle costituisce una barriera asciutta e relativamente impermeabile contro la perdita di liquidi,[2] regolando anche l'escrezione di elettroliti tramite la sudorazione.
§ Regolazione termica: la pelle possiede un afflusso ematico ben superiore a quelle che sono le sue effettive necessità metaboliche; questa caratteristica ne fanno un mezzo ideale per la regolazione della temperatura corporea. La vasodilatazione provoca un incremento del flusso ematico locale, che favorisce la cessione dell'energia termica all'ambiente esterno; viceversa, la vasocostrizione, riducendo la quantità di sangue in transito, preserva le dispersioni termiche. Mentre nell'essere umano sono quasi insignificanti, negli animali i muscoli erettori dei peli contribuiscono, con la loro contrazione (orripilazione) a produrre calore; la sudorazione stessa facilita invece la dispersione del calore, quindi funge da isolante termico, da regolatore della temperatura corporea e previene l'eccessiva dispersione idrica[2].
§ Assorbimento: dal momento che piccole quantità di ossigeno, azoto e anidride carbonica possono diffondere liberamente nell'epidermide, alcuni animali (soprattutto piccoli anfibi) si servono della loro cute come unico organo a funzione respiratoria; contrariamente a quanto solitamente si crede, gli esseri umani non assorbono ossigeno tramite la pelle.[3]
§ Difesa/offesa: diversi annessi cutanei (unghie, corna nei rinoceronti) fungono da strumenti di difesa od offesa; il mimetismo stesso può essere catalogato in entrambe le categorie, a seconda che a farne uso siano le prede (per sfuggire ai predatori) o i predatori (per avvicinarsi o attrarre le prede senza destare loro sospetti)
§ Attrazione sessuale (pigmentazione)
§ Riserva e ruolo sintetico: costituisce un serbatoio di lipidi ed acqua e consente la sintesi di alcune sostanze necessarie come la vitamina D
Struttura
La pelle presenta una struttura diversa nelle differenti classi di vertebrati (pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi[4]). La cute di pesci e rettili è caratterizzata dalla presenza di scaglie protettive, mentre quella degli uccelli dalla presenza di penne e piume;la pelle degli anfibi invece non costituisce una barriera rigida al passaggio di sostanze chimiche, tant'è che è spesso soggetta a fenomeni osmotici. La cute dei mammiferi è resa peculiare dalla presenza di peli, persino nei mammiferi marini, che pure appaiono glabri. Una sufficiente densità pilifera dà luogo a pellicce, che hanno un'ulteriore proprietà di isolante termico ma possono fungere anche da carattere sessuale secondario o da carattere mimetico. La cute di alcuni animali presenta caratteristiche di spessore e rigidità tali da renderla utilizzabile per produrre cuoio.
Invecchiamento
Man mano che la pelle invecchia, diventa sempre più sottile e fragile, a causa del fatto che la rigenerazione cellulare diventa più lenta e passa dalle normali 3-4 settimane a 4 o addirittura 6 settimane. Questo avviene a causa del diradamento degli ormoni tiroidei che ne regolano il funzionamento. Le rughe sono una conseguenza della diminuzione dell'elasticità della pelle, e non solo dell'invecchiamento. Infatti è possibile riscontrare rughe anche in soggetti molto giovani, questo è dovuto al fatto che le rughe si formano dove avvengono i movimenti muscolari più importanti, che richiedono alla pelle un'elasticità particolare.
La superficie della cute non è uniforme, ha un disegno molto complesso e varia da zona a zona per la presenza di solchi superficiali paralleli che determinano, soprattutto nei polpastrelli, delle figurazioni caratteristiche (dermatoglifi) che variano da individuo a individuo. Sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi sono presenti inoltre solchi profondi, mentre nelle zone sottoposte a movimento articolare sono presenti pieghe cutanee; le rughe che si formano sul volto e sul collo degli individui dopo una certa età sono dovute alla perdita di elasticità della cute.
Pigmentazione/colorazione
Il colore della pelle nell'uomo dipende da molte variabili (spessore dello strato corneo, stato di sanguificazione, presenza e assorbimento ottico di melanina, betacarotene, emoglobina). Pertanto il colore varia non solo tra i vari gruppi etnici, ma anche da individuo a individuo e benché di poco varia anche nei diversi distretti corporei di uno stesso individuo.
La pigmentazione cioè il colore, è dovuta a particolari cellule dette cromatofori, questi possono essere melanofori, presenti sia nel derma che nell'epidermide, xantofori o iridofori presenti nel derma.
Il colore della pelle dipende principalmente dalla melanina, la quale più è concentrata e più conferirà una colorazione scura alla pelle, questa colorazione viene stimolata durante il periodo caldo, conferendone una maggiore colorazione e proteggendo la pelle dall'invecchiamento.
Una volta passata la stagione calda la pelle abbronzata può rimuoversi gradualmente o in modo adeso, formando le pellicine.
Igiene
È uso comune presso le moderne società umane la pulizia frequente della pelle, tesa principalmente a mantenere un certo livello igienico, poiché una scarsa pulizia favorisce e il diffondersi di elementi patogeni e malattie. Tale pratica aiuta la pelle a svolgere e conservare le sue funzioni di rivestimento, protezione, secrezione, termoregolazione, sensoriale e immunitaria, ma va considerato che anche in assenza tali attenzioni la pelle è comunque in grado di svolgere i propri compiti in modo eccellente. Con lo sviluppo recente di una società complessa e che rende necessario un maggior contatto tra gli individui, anche ben oltre le distanze di intimità reciproca, è emerso il bisogno di attenuare e contenere l'odore corporeo in maniera più rigorosa e di praticare regole di igiene più rigorose di quanto si facesse in passato, quindi dai due lavacri annuali con sapone del Rinascimento si è passati a pratiche molto più intense e delicate.
Occorre però considerare che il lavaggio dell'epidermide (pelle) con detergenti, se praticata in maniera intensa ha un effetto aggressivo ed esfoliante, per cui a fronte di una rimozione di sporcizia si può avere anche la rimozione dello strato protettivo naturale, ad esempio dello strato sebaceo superficiale che mantiene alla pelle la condizione di essere soffice e morbida. L'uso intenso di saponi o di detergenti può produrre quindi uno stato temporaneo di diminuita protezione dei sistemi propri della pelle ed un peggioramento dello stato della stessa, che rientra nella norma dopo qualche ora. A tale stato si può ovviare con prodotti naturali o anche artificiali particolari.
L'aumentato utilizzo frequente di materiali detergenti o accessori di sintesi (non naturali), ha posto la necessità di chiarire gli effetti collaterali delle sostanze usate.
In passato, nel corso dei secoli, quando lo sviluppo civile ha imposto addensamenti di popolazione, le società hanno spesso sviluppato strutture urbanistiche, e comportamenti sociali relativi, di grande importanza sanitaria e sociale per quella parte del corpo che in ultima analisi è lo strato di contiguità col mondo esterno e con gli altri individui. In questo senso si collocano le terme romane o giapponesi, in cui la cura e lo stimolo di questa "frontiera" di contatto ha comportato complessi rituali sociali, e comportamentali (uso di unguenti, pratica dei massaggi, ecc.) anche non strettamente legati al solo aspetto igienico.
Proprietà meccaniche
In quanto tessuto molle, la cute possiede un particolare comportamento meccanico se sottoposta a trazioni. La pelle intatta possiede una tensione interna, simile a quella di una muta in neoprene tesa sul corpo di un subacqueo. L'esecuzione di tagli profondi nella pelle determina una sua retrazione che allontana i lembi della ferita, allargandola.
Lesioni e alterazioni
La pelle può andare incontro a:
§ ferite da punta e taglio § ferite lacere § ferite contuse § ferite lacero-contuse § ferite da arma da fuoco |
La disciplina che studia la prevenzione e trattamento delle lesioni cutanee croniche si chiama "vulnologia". La pelle, se danneggiata, tende a guarire formando una cicatrice, spesso con perdita di pigmentazione. La branca della medicina che studia la pelle si chiama dermatologia.
Apparato tegumentario
L'apparato tegumentario, comunemente noto come cute o pelle, è il tessuto che svolge la funzione di rivestimento e protezione dell'organismo umano. È composto da diversi strati: l'epidermide, il più superficiale, e il sottostante derma, separati dalla lamina basale. Al di sotto di essi si trova la tela sottocutanea, una zona di tessuto connettivo lasso e tessuto adiposo, riscontrabile negli animali omeotermi.
Strati
Epidermide
L'epidermide è la zona più esterna della pelle. Alla sua base ci sono numerosi strati di cellule che si riproducono continuamente spostandosi verso gli strati più esterni per sostituire quelle che muoiono e si staccano (causando ad esempio, la forfora).
Nell'epidermide si possono riconoscere più strati, dal basso verso l'alto:
1. Uno strato basale di cheratinociti dotato di cellule cubiche unite tra di loro da giunzioni cellulari chiamate desmosomi ed ancorate alla membrana basale, che connette l'epidermide al derma, da emidesmosomi; i cheratinociti di questo strato contengono tonofilamenti ovvero filamenti intermedi di cheratina.
2. Uno strato spinoso composto da cellule poliedriche in cui si ha un progressivo accumulo di tonofibrille, proteine di membrana e granuli lamellati.
3. Uno strato granuloso composto da cellule pavimentose ricche di cheratina e di granuli di chetoialina.
4. Uno strato corneo in cui le cellule ormai ridotte a lamine sono andate incontro ad apoptosi.
L'epidermide non contiene vasi sanguigni e viene nutrita per diffusione attraverso il derma sottostante. All'interno dell'epidermide troviamo altre cellule svolgenti funzioni diverse:
Le cellule di Merkel che condividono lo stesso compartimento germinativo dei cheratinociti risultano essere in contatto con terminazioni nervose che è la porzione ultima di una fibra nervosa afferente, sono in grado di scatenare all'occorrenza un segnale elettrico che sarà elaborato come segnale tattile.
Le cellule di Langerhans (da non confondersi con le isole di Langerhans che si trovano nel pancreas), hanno funzioni di difesa e sono ramificate, si trovano nello strato spinoso e inglobano le sostanze estranee o germi e, dopo averle processate, le presentano associate al MHC di classe II in modo da essere riconosciute dai linfociti.
I melanociti posizionati a livello dello strato basale, producono melanina che viene assunta dai cheratinociti.
Derma
Si trova sotto lo strato dell'epidermide ed è costituito da tessuto connettivo, che funge da ammortizzatore per i traumi meccanici della pelle. Il derma è strettamente legato all'epidermide da una membrana basale e ospita molte terminazioni nervose (meccanorecettori) che forniscono la sensibilità tattile e termica. Contiene inoltre vasi sanguigni, vasi linfatici, ghiandole sebacee, ghiandole sudoripare, ghiandole apocrine e follicoli piliferi.
Il derma si suddivide in due strati: quello più esterno, adiacente all'epidermide, è detto strato papillare, quello più profondo e più spesso è chiamato strato reticolare.
Lo strato papillare è formato da protuberanze digitiformi, chiamate appunto papille, che si estendono verso l'epidermide rafforzando l'adesione tra i due strati. Questa conformazione caratteristica dello strato papillare forma delle caratteristiche irregolarità di superficie che sono determinate geneticamente e differiscono da individuo a individuo.
In alcune regioni (polpastrello, palmo della mano, pianta del piede) queste irregolarità si strutturano a formare i cosiddetti dermatoglifi che vengono utilizzati per verificare l'identità di un individuo.
Lo strato reticolare è composto da fibre collagene, reticolari ed elastiche, che conferiscono alla pelle l'elasticità, l'estensibilità e la resistenza alle trazioni. Da questo strato originano i bulbi piliferi, le unghie, le ghiandole sebacee e sudoripare.
Tessuto sottocutaneo: Ipoderma
L'ipoderma è la parte più interna che sta a contatto con i muscoli e gli organi sottostanti; di derivazione mesenchimale, è costituita da cellule rotondeggianti piene di lipidi (soprattutto trigliceridi), dette adipociti, circondate da una fitta rete di vasi arteriosi e venosi. Lo spessore del sottocutaneo è variabile; funge da isolante, riserva di lipidi, ammortizzatore e favorisce la mobilità della pelle rispetto alle strutture più profonde.
Anatomia comparata
Dal punto di vista istologico la cute è un tessuto pluristratificato.
Stratificazione meccanica
Tipica degli ittiopsidi o pesci è caratterizzata dalla presenza di cellule secernenti muco (cellule a castone), ghiandole unicellulari a secrezione sierosa (cellule clavate) e cheratinociti, disposti in più strati identici sovrapposti. Il muco secreto dalle cellule a castone conferisce protezione contro le infezioni batteriche e aiuta il movimento assicurando che le correnti d'acqua lungo il corpo siano laminari e non turbolente. Svolge anche una funzione anti-disidratante.
Stratificazione funzionale
Tipica dei tetrapodi presentano strati diversi per forma e funzione. I cheratinociti hanno una conformazione regolare e geometrica solo negli strati vicini a quello germinativo, formato da cellule in continua divisione. Man mano che si allontanano impazziscono producendo cheratina in grande quantità fino a morire formando lo strato corneo.
Annessi cutanei
§ Squama: sono ispessimenti dello strato corneo; possono assumere diverse forme: verrucose, embricate, corazzate e scudate.
§ Scaglia: sono lamine rigide di osso lamellare a scopo protettivo; originano dalla cute di tutti i pesci, esclusi gli agnati che hanno pelle nuda.
§ Penne e piume: strutture degli uccelli che servono per il volo e per il mantenimento dell'omeotermia.
§ Peli: annesso dei mammiferi che contribuisce a mantenere costante la temperatura corporea.
Ghiandole pluricellulari annesse
§ Anfibi: mucose e sierose. L'anfibio ha uno strato corneo che però non gli permette una piena vita terrestre, necessita di uno strato mucoso come i pesci, secreto da ghiandole pluricellulari situate nel derma lasso.
§ Rettili: sierose, in zone limitate.
Origine embrionale
L'epidermide origina dall'ectoderma che prolifera e si differenzia in vari strati. Il derma e la tela sottocutanea si originano dal mesoderma. Inoltre alcune cellule che si originano dalle creste neurali vanno a insediarsi tra epidermide e derma contribuendo alla genesi di cromatofori e corazze ossee (come ad esempio la scaglia nel derma dei pesci ossei).
Nell'uomo e nei mammiferi
L'apparato tegumentario deriva da "tegumento" che significa appunto "rivestimento" e comprende la pelle e gli annessi cutanei ovvero peli, unghie, capelli, ghiandole mammarie, ghiandole sudoripare e sebacee. L'apparato tegumentario è un insieme di organi e di strutture: la cute e la tela sottocutanea.
La cute riveste il corpo esternamente, ad essa sono annesse le cosiddette "produzioni cutanee", che sono peli, unghie, ghiandole sebacee, ghiandole sudoripare e ghiandole mammarie.
La tela sottocutanea (derma), si estende al di sotto della cute.
La cute/pelle è una membrana continua, elastica e distendibile; essa svolge funzione di protezione, di secrezione ed escrezione e inoltre, di termoregolazione attraverso la presenza di ghiandole sudoripare grazie alle quali la temperatura corporea riesce a mantenersi costante. La cute presenta colorito diverso in base all'etnia, ciò è dovuto a diversi fattori: la melanina, che determina il colore nero, il sangue, che dona la tonalità rossa, il carotene, che dà la sfumatura giallastra. La superficie esterna della cute presenta piccoli ma innumerevoli solchi: sono le fossette dei peli e gli orifizi di sbocco delle ghiandole sudoripare.
La cute dei mammiferi
La cute dei mammiferi è composta di tre strati principali:
Epidermide
L'epidermide è lo strato più superficiale della cute, che costituisce la barriera vera e propria della pelle. Da un punto di vista istologico è un epitelio pavimentoso pluristratificato cheratinizzato, dotato di lamina basale. Come tutti gli epiteli è avascolare e le cellule dei suoi strati più profondi si nutrono per diffusione delle sostanze nutritizie dai capillari attraverso il derma.
L'epidermide contiene diverse popolazioni cellulari: oltre a quella più rappresentativa, i cheratinociti, sono presenti le cellule di Merkel, con funzione di pressocettore, le già citate cellule di Langerhans e i melanociti, responsabili della colorazione della cute. L'epidermide consta di differenti strati cellulari, dal più superficiale al più profondo:
§ Strato germinativo (o basale)
Le cellule si moltiplicano nello strato basale, costituito prevalentemente da cellule a carattere staminale, che, una volta divise, migrano negli strati più superficiali specializzandosi (cheratinizzandosi) e andando a rimpiazzare le cellule perse con la desquamazione.
La superficie dell'epidermide è colonizzata da una numerosa flora batterica, costituita sia da batteri commensali sia da patogeni obbligati o opportunisti (come Staphylococcus epidermidis). La densità della flora dipende dalla regione presa in considerazione: essa sarà maggiore, ad esempio, in corrispondenza delle pieghe corporee. Le aree disinfettate vengono ricolonizzate in tempi piuttosto rapidi dai batteri che popolano i follicoli piliferi o il tratto intestinale o urogenitale.
Il film idro acido lipidico è formato da sebo, sudore e residui di cheratinociti (cellule) morte. Presenta un pH leggermente acido (da 4,5 a 6,5) e lo si trova nello strato corneo dell'epidermide. Il suo pH è molto importante in quanto serve come difesa per la pelle in caso di presenza di potenziali microbi patogeni (e cioè quelli che provocano malattie), oltre a questo rende la pelle più morbida ed elastica.
Derma
Il derma è lo strato immediatamente inferiore all'epidermide, cui è strettamente aderente, e consiste prevalentemente di tessuto connettivo, resistente a stiramenti e torsioni. Il derma contiene al suo interno terminazioni nervose libere e specializzate, a funzione comunque recettoriale; contiene inoltre follicoli piliferi, ghiandole sudoripare (eccrine e apocrine) e sebacee, vasi sanguigni e linfatici. I vasi ematici provvedono al nutrimento non solo del derma ma anche del sovrastante strato basale dell'epidermide, e contribuiscono alla termoregolazione.
Il derma è strutturalmente diviso in due porzioni: la regione papillare, più superficiale, costituita da connettivo lasso che si aggetta nell'epidermide formando le così dette papille; la regione reticolare, più profonda, responsabile delle caratteristiche meccaniche della pelle; in questa regione trovano accoglienza le diverse strutture menzionate sopra.
Ipoderma
L'ipoderma (o tela sottocutanea) giace sotto il derma ed ha la funzione di connettere il piano cutaneo al sottostante piano muscolare (o, a seconda della regione, direttamente osseo). Consiste di connettivo lasso collagene ed elastico e una gran quantità di tessuto adiposo (si stima circa il 50% del grasso corporeo), quest'ultimo con la funzione di isolante termico e riserva energetica.
Produzioni cutanee
Le unghie sono formate da cellule morte ricche di cheratina. I peli sono una trasformazione dell'epidermide, formati da un follicolo (parte esterna), il fusto (parte retta interna) e alla base, il bulbo (unica parte viva del pelo). Il pelo viene sorretto da un muscolo chiamato erettore del pelo.
Epidermide
In anatomia l'epidermide, assieme al derma e all'ipoderma, forma la pelle o cute, di cui costituisce lo strato più superficiale. Si tratta di un epitelio pavimentoso pluristratificato cheratinizzato a diretto contatto con l'esterno, dallo spessore medio 70-120 μm ma può raggiungere gli 0,8 mm sul palmo della mano e 1,5 mm sulla pianta del piede.
Composizione
)
L'epidermide è formata da quattro-cinque strati di cellule, dette cheratinociti, che presentano via via uno stato di cheratinizzazione maggiore:
1. strato basale, detto anche germinativo, è lo strato più profondo dell'epidermide, composto da cellule staminali unipotenti cubiche o cilindriche separate dal sottostante derma da una membrana basale. Le cellule di questo strato si dividono per mitosi, dando origine ad una cellula staminale unipotente e ad una cellula destinata a differenziarsi in cheratinocito. Queste cellule sono collegate tra loro da desmosomi e alla membrana basale da emidesmosomi. L'adesione con la lamina basale è mediata dall'integrina α6β4, mentre le adesioni sulla superficie apicale e laterale sono mediate dalle integrine α2β1 α3β1. Il rinnovamento epidermico è a carico proprio dello strato basale, ed un cheratinocito impiega 15-30 giorni per maturare e migrare sino agli strati più superficiali. I filamenti intermedi di cheratina (tonofilamenti), spessi circa 10 nm, presentano la coppia di cheratine K5/K14, e sono finementi dispersi nel citoplasma.
2. strato spinoso del Malpighi, formato da 4-8 strati di cellule basofile poliedriche che tendono ad appiattirsi man mano che ci si avvicina allo strato superiore. Presentano numerose estroflessioni, dette ponti citoplasmatici (spine), che fanno assumere alle cellule l'aspetto spinoso (da cui deriva il nome dello strato stesso). Tali estroflessioni presentano numerosi desmosomi, che mettono le cellule in un rapporto di contiguità, su di essi convergono fasci di tonofilamenti costituiti dalla coppia di cheratine K1/K10, detti tonofibrille. Il passaggio di una cellula dallo strato basale a quello spinoso comporta quindi la sintesi di una diversa coppia di cheratine. Le integrine, espresse sull'intera membrana plasmatica, sono α2β1 e α3β1. Le cellule dello strato spinoso sintetizzano proteine come l'involucrina che tendono ad accumularsi sul versante citoplasmatico della membrana cellulare, costituendo l'involucro cellulare corneificato. Si osservano inoltre organelli ellissoidali scuri, di circa 0,3 x 0,7 μm, forniti di membrana plasmatica e con una caratteristica organizzazione interna a fitte lamelle concentriche, tali organuli sono detti melanosomi.
Nei melanosomi maturi le lamelle sono difficilmente distinguibili, poiché sono ripieni di melanina. I melanosomi non si originano nei cheratinociti, ma nei melanociti (cellule dendritiche interposte tra i cheratinociti nello strato spinoso) e vi sono trasferiti successivamente assieme ad una piccola porzione di citoplasma che si distacca da uno dei prolungamenti.
Oltre ai melanosomi, sono presenti anche i cheratinosomi, granuli propri dei cheratinociti del diametro di 0,1 μm, provvisti di membrana, dalla caratteristica organizzazione interna a lamelle chiare e scure alternate; essi contengono materiale lipidico che viene rilasciato nello spazio intercellulare del successivo strato granuloso, costituendo una barriera impermeabile.
3. strato granuloso, formato da 3-5 strati di cellule intensamente basofile, che si colorano in viola scuro con ematossilina-eosina, dalla forma piuttosto appiattita. La basofilia citoplasmatica è dovuta alla presenza di granuli di cheratoialina, privi di membrana, contenenti la proteina filaggrina, la cui funzione è quella di aggregare in fasci spessi, le tonofibrille, i filamenti di cheratina. Questi granuli potrebbero contenere anche loricrina che assieme alla precedente contribuisce a formare l'involucro interno corneificato.
4. strato lucido, strato di transizione, costituito da 3-5 strati cellule acidofile appiattite, ancora vitali ma prive di nucleo. Sono cellule ricche di eleidina e tonofilamenti che servono per "soffocare" la cellula mandandola incontro ad apoptosi. Questo strato non è sempre evidenziabile, ed è più facilmente riscontrabile nell'epidermide del palmo delle mani e della pianta dei piedi, essendo troppo sottile e poco colorabile per essere visualizzato al microscopio ottico in altre sedi, oppure occultato dai melanociti.
5, strato corneo, variabile da pochi strati a centinaia di strati (ad esempio nelle regioni del palmo della mano e della pianta del piede) di elementi cellulari morti, privi di nucleo, molto appiattiti, completamente cheratinizzati e contenenti una bassissima percentuale di acqua. Queste cellule vengono talvolta definite con il nome di corneociti.
Contengono tonofilamenti di cheratina inclusi in una matrice derivata dalla trasformazione di cheratoialina e eleidina. Le membrane cellulari sono molto ispessite a causa della presenza di uno sviluppato involucro cellulare corneificato costituito principalmente dalle proteine involucrina, filaggrina e loricrina.
Lo spazio intercellulare è occupato dai lipidi liberati dai cheratinosomi dello strato spinoso, rappresentati prevalentemente da idrossiceramide.
L'idrossiceramide, legata covalentemente alla membrana cellulare dei cheratinociti, ha funzione idrorepellente, ostacolando l'evaporazione, nonché aumentando l'impermeabilità dell'epidermide. Negli epiteli pavimentosi pluristratificati bagnati da liquidi (mucosa della bocca, esofago, vagina) perfino le cellule più superficiali mantengono il nucleo.
I cheratinociti, sebbene costituiscano la gran parte delle cellule epidermiche, non sono le uniche presenti in questo epitelio. Si riscontrano infatti:
-Melanociti, sono cellule dendritiche derivanti dalla cresta neurale da cui poi si distaccano per migrare nell'epidermide tra il III e il V mese della vita embrionale. Possiedono un corpo cellulare piuttosto voluminoso provvisto di prolungamenti che si insinuano negli spazi intercellulari dello strato basale e dello strato spinoso. A differenza dei cheratinociti non possiedono desmosomi e non contengono tonofilamenti, contengono invece gli organuli detti melanosomi, ripieni di melanina, che trasferiscono ai cheratinociti, i quali li fagocitano. La presenza dei melanosomi all'interno dei cheratinociti determina il colore della pelle.
-Cellule di Langerhans, sono cellule dendritiche o stellate, con lunghi prolungamenti che si insinuano tra gli spazi intercellulari delle cellule dello strato spinoso, quasi a formare una rete. In ematossilina-eosina possiedono un nucleo dalle intense proprietà basofile ed un citoplasma poco colorabile. Fanno parte del sistema dei monociti-macrofagi, possiedono infatti caratteristiche comuni come recettori per le immunoglobuline o per il sistema del complemento, ma si differenziano dai macrofagi per la scarsa capacità fagocitaria. Fanno inoltre parte delle APC-cell (Antigen Presenting Cells), cioè delle cellule presentanti l'antigene a quelle del sistema immunitario. Secernono inoltre interleuchina-1 (IL-1). Un'altra varietà di cellule dendritiche, le cellule di Granstein, presentano invece l'antigene ai linfociti T-soppressori.
-Cellule di Merkel, o corpuscoli di Merkel sono grosse cellule tondeggianti che assumono contatti sinaptici con le terminazioni nervose afferenti che le circondano, determinando la sensibilità tattile. Nel loro citoplasma sono infatti presenti vescicole simili a quelle sinaptiche. Si trovano nello strato basale dell'epidermide e in particolare sulla sommità delle creste epidermiche.
Sono da considerarsi annessi all'epidermide i peli e le unghie, mentre derivano da essa le ghiandole sudoripare (la parte distale del dotto attraversa l'epidermide) e le ghiandole sebacee.
Accenno di Botanica
In botanica con epidermide si intende un tessuto tegumentale primario esterno. Deriva dal meristema primario del fusto, in particolare dalla tunica. Riveste la parte aerea del corpo primario della pianta ed è solitamente monostratificata (può essere pluristratificata nelle xerofite). È caratterizzata dalla mancanza di spazi intercellulari, dall'assenza di cloroplasti e dalla presenza di annessi come gli stomi e i peli. Le principali funzioni dell'epidermide sono:
1. protezione contro la perdita di acqua.
2. protezione contro altri fattori abiotici come i raggi UV.
3. protezione contro fattori biotici come l'ingresso di patogeni batterici e fungini.
4. funzioni di relazione (messaggi vessilliferi e disseminazione di frutti).
5. funzioni di assorbimento (acqua e sali minerali, concimazioni fogliari, danni da piogge acide).
Derma
Il derma è lo strato della cute posto inferiormente all'epidermide, costituito da tessuto connettivo propriamente detto denso, riccamente vascolarizzato e innervato. Si connette all'epidermide tramite una giunzione, in cui le papille del derma (strato papillare) si insinuano nello strato sovrastante, favorendone il turn over cellulare; il derma inoltre dona alla cute le caratteristiche di consistenza e resistenza grazie alle abbondanti fibre collagene. Si tratta inoltre di uno strato molto elastico, che resiste anche a forti trazioni, ma non al taglio. Sono presenti nel derma dei cromatofori, che possono essere attivati o meno, a seconda delle necessità.
Struttura
Il derma viene diviso in:
Papillare: strato sottostante l'epidermide.
Reticolare: strato che si estende dalla base del papillare fino all'ipoderma.
Perianessiale: strato circondante gli annessi cutanei.
Avventiziale: derma perianessiale e papillare.
Il tessuto connettivo
La trama di fibre del derma è composta da due costituenti principali:
§ il collagene: si tratta di una glicoproteina (proteina che contiene carboidrati) fibrosa prodotta dai fibroplasti, le principali cellule del derma. le fibre di collagene si organizzano in fasci disposti fra loro secondo un fitto intreccio, molto resistente alla trazione.
§ l'elastina: anch'essa è una glicoproteina fibrosa prodotta dai fibroplasti, e dotata, a differenza del collagene, di notevoli proprietà elastiche. le fibre elastiniche sono molto meno numerose e più sottili delle fibre collageniche, non si organizzano in fasci, ma si ramificano e si riuniscono formando un reticolo. Le fibre dell'elastina si intrecciano con le fibre del collagene conferendo elasticità all'intera struttura della cute.
Questo tipo di organizzazione strutturale dona al tessuto connettivo dermico eccellenti proprietà di robustezza, resistenza, sostegno ed elasticità.
Lamina basale
Lamina basale è il nome che alcuni autori danno alla parte della membrana basale costituita da lamina lucida e lamina densa. Gli stessi autori considerano poi la lamina fibroreticolare parte del tessuto connettivo, sia perché ne è la continuazione sia perché - quando è assente il connettivo, come nelle membrane basali con struttura sandwich - anch'essa è assente.
L'uso del termine "lamina basale" sta pian piano sostituendo quello di membrana basale, relegando esclusivamente alle strutture con doppi strati fosfolipidici, come la membrana cellulare, il termine di membrana. Nonostante ciò numerosi autori continuano a preferire quello di membrana basale.
Ipoderma
L'ipoderma o tela sottocutanea è lo strato più profondo della pelle che continua in profondità il derma. Nell'ipoderma si individuano tre strati di tessuto connettivo, non sempre facilmente separabili, detti, dal più superficiale al più profondo, lamina superficiale, lamina intermedia e lamina profonda della tela sottocutanea. Le tre lamine possono presentare differenti caratteristiche a seconda delle regioni del corpo prese in coinsiderazione e ne consegue che il suo spessore è molto vario, oscillando tra i 0.5 e i 2 cm . Risulta minimo a livello del naso e delle palpebre e massimo nella regione glutea, nel palmo della mano e sulla pianta dei piedi..
La lamina superficiale è costituita da tessuto connettivo lasso ed in questo strato si accumulano le riserve di grassi sottoforma di adipociti. Questo tessuto adiposo, se presente in sensibile quantità, si organizza in aggregati anche di grandi dimensioni che prendono il nome di pannicolo adiposo della tela sottocutanea.
La lamina intermedia, costituita da tessuto connettivo denso, prende anche il nome di fascia superficiale per distinguerla dalla fascia profonda, anch'essa formata da connettivo denso, che riveste i sottostanti muscoli scheletrici. Sulla maggior parte del corpo dei mammiferi la fascia superficiale si sdoppia in due foglietti che avvolgono un ampio muscolo di forma laminare, detto muscolo pellicciaio, che permette all'animale di scuotere la propria pelle come nell'atto di asciugare la pelliccia. Evolvendosi l'uomo ha perso tale muscolo, tuttavia ne restano alcuni segmenti costituiti dal muscolo platisma, detto anche muscolo pellicciaio del collo, ed i muscoli mimici.
La lamina profonda della tela sottocutanea infine, composta anch'essa di tessuto connettivo lasso, ha la funzione di separare i movimenti della fascia superficiale e quindi di tutta la pelle da quelli della fascia profonda e dei muscoli che questa riveste.
Tessuto connettivo
Come tessuto connettivo vengono definiti vari tipi di tessuto delle forme viventi superiori che hanno in comune la funzione di provvedere al collegamento, al sostegno e nutrimento dei tessuti dei vari organi e che derivano dal tessuto connettivo embrionale, il mesenchima (che origina principalmente dal mesoderma).
Istologicamente, quindi i tessuto connettivo può essere suddiviso in diversi sottotipi, a seconda delle loro prerogative morfologiche e funzionali, tutti caratterizzati dal fatto di essere costituiti da cellule non addossate le une alle altre, ma disperse in una più o meno abbondante sostanza intercellulare o matrice extracellulare costituita da una componente amorfa e da una componente fibrosa.
Cellule del tessuto connettivo
Il tessuto connettivo possiede un'ampia varietà di cellule, deputate a svolgere attività diverse in relazione anche alla natura del tessuto a cui appartengono e alla posizione che questo assume nell'organismo. In generale, è possibile operare una distinzione tra le cellule deputate alla formazione e al mantenimento della matrice (fibroblasti, condroblasti, osteoblasti, cementoblasti, odontoblasti), cellule deputate alla difesa dell'organismo (macrofagi, mastociti, leucociti) e cellule deputate a funzioni speciali, come gli adipociti del tessuto adiposo, che accumulano grassi come riserva energetica del corpo.
È possibile anche distinguerle in base all loro ciclo vitale in cellule fisse (macrofagi fissi, fibroblasti, adipociti), che svolgono tutta la loro vita nel tessuto connettivo, e cellule migranti (granulociti neutrofili, linfociti, macrofagi) che invece raggiungono il tessuto connettivo dalla circolazione sanguigna. Alcune di esse, come i linfociti, possono passare liberamente dal circolo sanguigno al connettivo, altre, come i granulociti neutrofili, una volta spostatisi per diapedesi nel connettivo non possono più far ritorno nel sangue.
Fibroblasti
I fibroblasti sono le cellule più numerose del tessuto connettivo propriamente detto. La loro funzione è quella di produrre le fibre e i componenti macromolecolari della matrice extracellulare, che costituisce l'elemento di gran lunga più abbondante del tessuto, e dalla quale dipendono le funzioni di sostegno proprie del connettivo. I fibroblasti sono generalmente di aspetto fusiforme, sebbene ne esistano varietà che presentano morfologie anche diverse, come un aspetto stellato o tentacolare. Si trovano generalmente dispersi nella matrice da loro stessi creata, ed in molti casi sono disposti lungo le fibre. Al microscopio elettronico è possibile notare, in zona perinucleare, l'apparato di Golgi e i due centrioli, i mitocondri sono generalmente lunghi e sottili, ma nei cementoblasti e negli odontoblasti assumono anche forma tondeggiante. Il reticolo endoplasmatico presenta cisterne appiattite e il suo sviluppo dipende dallo stato funzionale della cellula, tutti i filamenti del citoscheletro sono molto sviluppati, particolarmente i microfilamenti actinici concentrati nella zona corticale. Numerose le strutture di adesione quali podosomi e adesioni focali. Quando cessano la loro attività biosintetica, i fibroblasti si trasformano in fibrociti, che hanno citoplasma debolmente acidofilo in confronto ai fibroblasti biosinteticamente attivi che lo hanno basofilo. Pertanto, fibroblasti e fibrociti rappresentano i due momenti funzionali di una stessa cellula. Cellule di funzione analoga sono presenti nei diversi sottotipi di tessuto connettivo, anche se presentano in alcuni casi peculiarità funzionali.
Corrispondenti per funzione dei fibroblasti negli altri tipi di tessuto connettivo sono:
§ i condroblasti producono la matrice del tessuto cartilagineo.
§ gli osteoblasti producono la matrice del tessuto osseo, caratterizzata dal fatto di essere calcificata.
§ i cementoblasti e gli odontoblasti producono la matrice nei denti.
Macrofagi
I macrofagi sono, per diffusione, le seconde cellule più numerose del tessuto connettivo propriamente detto. I macrofagi sono distinguibili in una tipologia fissa, presente nel tessuto connettivo in condizioni normali, e in una migrante, che si trova nel caso di danno tissutale come un processo infiammatorio. In realtà si tratta dello stesso tipo cellulare in diversa forma, per cui si preferisce adottare la distinzione in macrofago non attivato e in macrofago attivato. Al microscopio elettronico i macrofagi appaiono come cellule tondeggianti, fusiformi o stellate con un diametro di 10-30 μm, provviste di estroflessioni citoplasmatiche simili a villi. Nel citoplasma l'apparato di Golgi e il reticolo endoplasmatico rugoso sono molto sviluppati, sono inoltre presenti numerosi lisosomi e fagosomi, un citoscheletro sviluppato con filamenti intermedi di vimentina dello spessore di 10 nm e microfilamenti actino-simili dello spessore di 6 nm, fondamentali in quanto costituiscono l'impalcatura dei "villi" del macrofago. Il nucleo è unico. Poiché a livello citoplasmatico i fibroblasti e macrofagi fissi sono piuttosto simili, per distinguerli è necessario mettere a prova la spiccata capacità fagocitaria del macrofago tramite la granulopessia, cioè l'ingestione da parte della cellula di un colorante vitale. Il vivace spostamento dei macrofagi, una volta attivati, è determinato dall'ondulazione della loro membrana plasmatica, ed è di tipo ameboide. La direzione dello spostamento è determinata da chemiotassi. La capacità fondamentale dei macrofagi è certamente la fagocitosi, meccanismo che utilizzano con funzione difensiva. Sono infatti deputati ad assorbire ed eliminare elementi esterni, quali virus, batteri, cellule tumorali, cellule ematiche invecchiate, molecole dannose all'organismo. Il macrofago è stimolato da numerosi fattori chimici che si legano al corpo estraneo, quali per esempio gli anticorpi IgG e IgM, esso li riconosce, si attiva, ed inizia una serie di azioni volte alla sua distruzione e al coordinamento della risposta immunitaria. Per fagocitarlo, emette pseudopodi (estroflessioni della membrana plasmatica) che circondano il corpo estraneo, inglobandolo nel citoplasma del macrofago con un sistema "a cerniera". Qui è digerito dalle idrolasi acide contenute nei lisosomi e da enzimi quali il lisozima, che scinde la membrana plasmatica di molti batteri, e la mieloperossidasi. Se il corpo estraneo è troppo voluminoso per un solo macrofago, queste cellule possono aggregarsi in complessi polinucleati (fino ad un centinaio di nuclei), chiamati cellule giganti da corpo estraneo. Contemporaneamente all'azione fagocitaria, il macrofago secerne ossido nitrico (NO) e prostaglandine, che inducono vasodilatazione, interleuchina-1 (IL-1) che attira linfociti e granulociti neutrofili, citochine, che attivano la proliferazione delle cellule circostanti, ne aumentano la capacità fagocitaria e le attirano verso la sede dell'infiammazione, eritropoietina, che stimola la maturazione dei precursori degli eritrociti nel midollo osseo, CSF (colony stimulating factors) che agiscono sulla maturazione di molte altre cellule emopoietiche. I macrofagi sono anche APC-cells (antigen presenting cells) in quanto presentano sulla loro membrana gli antigeni parzialmente elaborati dai batteri fagocitati, permettendone il riconoscimento da parte dei linfociti. Tale presentazione però è non-specifica a differenza di quella dei linfociti B.
Linfociti
I linfociti sono cellule appartenenti al sistema cardiaco, e, pur essendo formalmente cellule connettivali, si trovano in prevalenza libere nel sangue. Vengono suddivisi in due classi principali: i linfociti B e i linfociti T:
§ I linfociti B sono in grado di riconoscere l'antigene presentato dai macrofagi, ed in risposta maturano in plasmacellule, producendo anticorpi che intervengono ad eliminare i corpi estranei.
§ I linfociti T, oltre a cooperare con i linfociti B e con le proteine del complesso maggiore di istocompatibilità per permettere il riconoscimento degli antigeni, sono anche deputati alla risposta self, ovvero all'eliminazione di cellule appartenenti all'organismo stesso, alterate dall'infezione di un virus o cancerogene.
Mastociti
I mastociti sono cellule dal diametro di 20-30 μm, hanno forma tondeggiante o fusata e sono mobili. Sono muniti di sottili estroflessioni della membrana plasmatica, discreto corredo mitocondriale, reticolo endoplasmatico e un piccolo apparato di Golgi. Il nucleo è reniforme e presenta cromatina dispersa. La caratteristica morfologica più importante per distinguerli è la presenza, nel citoplasma, di numerosi granuli tondeggianti ed elettrondensi, omogenei nell'uomo, solubili in acqua, che si colorano metacromaticamente con i coloranti basici come il blu di toluidina, oppure con i coloranti per glicosaminoglicani solfati come l'Alcian blu. I granuli sono rivestiti da membrana e contengono eparina ed istamina. L'eparina, un glicosaminoglicano che rende ragione della colorazione di questi granuli, è un anticoagulante, mentre l'istamina è un vasodilatatore ed aumenta la permeabilità dei capillari sanguigni. La liberazione di questi granuli avviene in numerose reazioni immunologiche, in particolare in quelle di ipersensibilità immediata, cioè quando un organismo viene a contatto con un antigene per cui è già stato sensibilizzato in precedenza. È sufficiente che due recettori del mastocita (associatisi ad IgE durante la prima esposizione) vengano a contatto con l'antigene per determinarne la degranulazione.
La degranulazione consiste nello spostamento dei granuli verso la membrana plasmatica, nella fusione della membrana dei granuli con essa e nella liberazione del contenuto dei granuli nello spazio extracellulare. In tal caso si dice che avviene una degranulazione asincrona. È però possibile in casi particolari, che la risposta immunitaria si estenda a interi organi o apparati, e che la degranulazione risulti anafilattica. In questo caso i granuli si fondono tra loro e vengono espulsi violentemente dal mastocita determinando lo shock anafilattico. Un mastocita è in grado di ricostituire il proprio corredo granulare in 1-2 giorni dalla degranulazione. Sono anche in grado di secernere sostanze quali le interleuchine 4,5,6 (IL-4, IL-5, IL-6), citochine e fattori chemiotattici.
L'attivazione dei mastociti comporta la liberazione di leucotrieni, che vengono sintetizzati a partire dall'acido arachidonico contenuto in alcuni piccoli granuli lipidici del citoplasma della cellula. I leucotrieni inducono la contrazione della muscolatura liscia delle vie aeree e sono coinvolti nelle crisi asmatiche.
Adipociti
Gli adipociti sono cellule fisse del tessuto connettivo adibite alla raccolta, al mantenimento e alla secrezione dei lipidi. Hanno un diametro molto variabile, che può superare i 100 μm forma tondeggiante a causa dell'unica goccia lipidica (per gli adipociti uniloculari) che occupa quasi tutto il citoplasma, schiacciando il nucleo contro la membrana plasmatica. Si trovano in tutti i tipi di tessuto connettivo, lungo i vasi sanguigni, e costituiscono la tipologia cellulare prevalente nel tessuto adiposo. Svolgono una funzione di riserva energetica, contribuendo al riscaldamento del corpo, oltre a produrre ormoni(ormoni steroidi) e fattori di crescita. Possono essere colorati con i coloranti solubili nei grassi come Sudan Nero, Sudan III o Orange G. Gli adipociti esistono in due varietà: gli adipociti uniloculari e gli adipociti multiloculari.
§ gli adipociti uniloculari presentano un unico grande vacuolo, contenente i lipidi, che riempie la quasi totalità della cellula. Il nucleo ed il citoplasma cellulare risultano perciò decentrati e schiacciati lungo i bordi della membrana plasmatica. Essi formano il tessuto adiposo bianco.
§ gli adipociti multiloculari non possiedono invece il vacuolo centrale, ma presentano i lipidi raccolti in numerose piccole gocce disperse nel citoplasma. In queste cellule il nucleo si presenta in posizione centrale. Formano il tessuto adiposo bruno.
Matrice extracellulare
Tutte le cellule dei diversi tipi di tessuto connettivo si trovano disperse in una sostanza gelatinosa, liquida o solida denominata matrice o matrice extracellulare. La matrice cellulare è costituita da una porzione fibrosa, composta da proteine, inclusa in una soluzione acquosa di proteine, glicoproteine e proteoglicani. Le proteine in questione sono: collagene, elastina,laminina, fibronectina, condronectina e osteonectina\SPARC.
La matrice extracellulare è quindi divisibile in:
§ una matrice di materiale amorfo detta sostanza fondamentale;
§ una componente fibrillare.
Da un punto di vista istologico, al microscopio la componente amorfa viene allontanata durante i processi di allestimento: accanto alla componente fibrosa si trovano delle lacune bianche che in vivo sono occupate dalla sostanza amorfa.
Fibre
Le fibre del tessuto connettivo sono immerse nella sostanza amorfa, e conferiscono stabilità strutturale alla matrice. Le fibre sono distinte in tre tipi fondamentali, a seconda della loro composizione e struttura:
§ fibre collagene
§ fibre reticolari
§ fibre elastiche
Le fibre collagene e le fibre reticolari sono costituite entrambe da molecole di procollagene, ma differiscono tra loro per l'organizzazione spaziale di tali molecole; le fibre elastiche sono invece costituite da due catene proteiche di diversa natura: la fibrillina e l'elastina.
Fibre collagene
Le fibre collagene sono la tipologia di fibre più rappresentata dell'organismo umano e nei tessuti connettivi, rappresentano da sole il componente non minerale più abbondante dopo l'acqua, costituendo fino al 6% del peso corporeo. Appaiono come lunghe fibre bianche ondulate, che si diramano in più direzioni (nel caso di un tessuto connettivo denso irregolare o connettivo lasso) o in un'unica direzione (tessuto connettivo denso regolare), hanno uno spessore variabile da 1 a 12 μm. Ogni fibra collagene è costituita da decine di fibrille più sottili, del diametro di 0,2-0,3 μm, che determinano la sua striatura longitudinale, immerse in una sostanza amorfa. Ogni fibrilla collagene è a sua volta costituita da microfibrille che si associano longitudinalmente tra loro, determinandone la birifrangenza. Le microfibrille, esaminate al microscopio elettronico, appaiono striate trasversalmente al loro asse maggiore, in particolare le striature si ripetono ogni 70 nm a fresco oppure ogni 64 nm a secco, si dice perciò che possiedono una periodicità assile di 64-70 nm. Sono distinguibili due tipi di striature trasversali, una più elettrondensa e l'altra meno elettrondensa. Dal momento che le molecole di tropocollagene si associano tra loro in maniera sfasata, sovrapponendosi per un quarto della loro lunghezza, si possono spiegare i due tipi di striature affermando che le bande meno elettrondense sono costituite dalle teste delle molecole di tropocollagene e dall'estremità delle code, mentre le bande più elettrondense sono costituite tra le code delle molecole di tropocollagene e gli intervalli tra una molecola e la successiva. Le fibre collagene sono molto resistenti alla trazione, flessibili, ma praticamente inestensibili. In soluzione acida diluita esse tendono a gonfiarsi, mentre sono disciolte in soluzioni contenenti acidi o basi forti, oltre ad essere digerite specificamente dall'enzima collagenasi. La denaturazione del collagene, che può avvenire per bollitura, porta le fibre a trasformarsi in una sostanza gelatinosa. Il collagene è sintetizzato principalmente da fibroblasti, condroblasti e osteoblasti, ma può essere prodotto anche dalle cellule epiteliali, com'è il caso del collagene di tipo IV, che forma la lamina basale. Le fibre collagene sono evidenziate in microscopia ottica attraverso coloranti acidi come il blu di anilina nella tecnica di colorazione Azan-Mallory, assumono l'eosina e sono PAS-negative o leggermente PAS-positive a causa di brevi catene laterali carboidratiche costituite da galattosio o glucosil-galattosio legate alle molecole di idrossilisina. Esistono 25 tipi diversi di catene α che si associano tra loro in triplette (una molecola di tropocollagene è costituita da tre α-eliche) in modo da formare 29 diversi tipi di collagene. I 29 tipi di collagene sono divisibili in tre classi, le quali sono:
§ Collageni fibrillari: sono le fibre collagene più comuni, da sole costituiscono la quasi totalità del collagene nel corpo umano, vi appartengono i collageni di tipo I, II, III e V. Il collagene di tipo I costituisce il 90% del collagene nel corpo, costituisce le ossa, i tendini, le fibre collagene del derma e la dentina. Il collagene di tipo II è diffuso nella cartilagine e nell'umor vitreo. Il collagene di tipo III è diffuso nel derma, nei muscoli e nella parete dei vasi sanguigni. Il collagene di tipo V è diffuso nelle membrane basali.
§ Collageni associati a fibrille: sono fibre collagene che non si riscontrano mai da sole, ma si associano sempre ai collageni fibrillari all'interno delle loro fibrille o formano legami tra le fibrille e la matrice circostante. Vi appartengono i collageni di tipo IX e XII, il primo si associa al collagene di tipo II nella cartilagine, il secondo si associa al tipo I e III nel derma e nei tendini.
§ Collageni laminari o reticolari: sono fibre collagene che non si organizzano in spessi fasci ma in maglie reticolate, spesso localizzate negli spazi pericellulari o nella membrana basale. Ne fanno parte i collageni di tipo IV, che costituisce gran parte della membrana basale, VIII che si associa agli endoteli, e X presente nelle cartilagini di coniugazione delle ossa.
Fibre reticolari
Le fibre reticolari, costituite da catene di collagene di tipo III, sono diffuse nel tessuto connettivo lasso, nei muscoli, nell'endonevrio, nel tessuto adiposo, negli organi linfoidi e nella parete dei vasi sanguigni. Sono anch'esse costituite da fibrille e microfibrille che presentano periodicità assile 64-70 nm, ma le fibrille sono più sottili (spessore medio di 50 nm) e di conseguenza lo sono anche le fibre reticolari (spessore variabile 0,5-2 μm). Le fibre reticolari non si associano tra di loro per formare fasci, ma costituiscono trame e reti sottili, decorrendo su due piani o in senso tridimensionale, con ampi spazi tra le maglie occupati da matrice amorfa. Non possiedono la striatura longitudinale delle fibre collagene, ma possiedono un maggiore grado di glicosilazione dell'idrossilisina e per questa ragione sono PAS-positive, inoltre si colorano facilmente con il metodo dell'impregnazione argentica e per questo sono anche definite fibre argirofile.
Fibre elastiche
Le fibre elastiche sono meno numerose delle fibre collagene in tutti i tipi di tessuto connettivo, fatta eccezione per il tessuto connettivo denso elastico. Hanno uno spessore variabile da 0,2 a 1 μm, con sottili microfibrille dello spessore di soli 11 nm, che non presentano birifrangenza. Strutturalmente sono formate da una matrice amorfa centrale, costituita da elastina, attorniata da esili microfibrille di fibrillina, organizzate in una disposizione altamente ordinata. Quando le fibre elastiche sono molto spesse e concentrate, per esempio nel legamento nucale dei ruminanti, appaiono giallastre, per cui sono dette fibre gialle. Come si evince dal nome, la caratteristica principale di queste fibre è l'elevata elasticità, sono infatti in grado di sopportare torsioni e tensioni anche notevoli, deformandosi per poi ritornare allo stato di distensione originario, sono però poco resistenti alla trazione, per questo in molti tessuti sono presenti sia fibre collagene che fibre elastiche. La loro deformazione è passiva, tali fibre, infatti, modificano la loro estensione solo per mezzo di fattori esterni di pressione o in seguito alla contrazione di fibre muscolari. Le fibre elastiche possono anche fondersi tra loro dando origine alle lamine o membrane elastiche ove sia richiesta una maggiore deformabilità, come nei vasi sanguigni. In particolare, le fibre elastiche costituiscono le membrane elastiche fenestrate esterna ed interna di tutte le arterie e la tonaca media delle vene. Sono fibre molto stabili, resistenti a molti agenti chimici, agli acidi forti del succo gastrico, a basi diluite, vengono però digerite specificamente dall'enzima elastasi, contenuto nel pancreas. Si colorano attraverso l'orceina che fa assumere loro una caratteristica colorazione marrone, oppure attraverso il metodo fucsina-resorcina di Weigert.
Sostanza amorfa
La sostanza amorfa (o sostanza fondamentale) costituisce un gel compatto nel quale sono immerse le fibre. È costituita essenzialmente da macromolecole di origine glucidica chiamateglicosaminoglicani (GAG) e da associazioni di questi ultimi con proteine, definite proteoglicani.
§ I glicosaminoglicani sono i più importanti ed abbondanti componenti della matrice amorfa. Si tratta di lunghi polimeri, con massa atomica variabile da poche migliaia a milioni di Da, costituiti da catene di disaccaridi ripetuti decine di volte, a loro volta formati da un acido uronico (D-glucoronato, L-iduronato) legato ad un amino-zucchero (N-acetil-D-glucosamina, N-acetil-D-galattosamina). I glicosaminoglicani possono essere solforati (chetaran-solfato, condroitin-solfato, eparan-solfato, dermatan-solfato, eparina) oppure non solforati (acido ialuronico). Il glicosaminoglicano più importante è l'acido ialuronico, che costituisce anche la catena centrale degli aggregati proteoglicanici. I glicosaminoglicani riescono a legare notevoli quantità di acqua.
§ I proteoglicani sono costituiti da numerosi glucosaminoglicani associati trasversalmente ad una proteina che funge da catena centrale, è in questo stato che si trova la maggior parte dei glicosaminoglicani della matrice, fatta eccezione per l'acido ialuronico che, per la sua elevata viscosità non si lega, contribuendo a formare, tra le altre cose, il liquido sinoviale. Il peso molecolare di un proteoglicano varia da 1 a 10 milioni di dalton, di cui l'80-95% è composto da glicosaminoglicani e il 5-20% da proteine. Sono sintetizzati nell'apparato di Golgi che lega uno specifico tetrasaccaride (xilosio-galattosio-galattosio-acido glucuronico) ai residui di serina della proteina centrale, per poi aggiungere un monosaccaride alla volta all'estremità libero del tetrasaccaride. Alcuni dei proteoglicani più importanti sono l'aggrecano, presente nella matrice cartilaginea, il sindecano, il versicano, il neurocano, la decorina e il β-glicano. I proteoglicani possono inoltre unirsi intorno ad una molecola di acido ialuronico centrale, formando delle strutture di ordine superiore definite aggregati (o complessi) proteglicanici, che sono fra le molecole organiche più grandi esistenti in natura, con peso di decine milioni di Da per diversi μm di lunghezza, dimensioni paragonabili a quelle di un batterio. I proteoglicani a causa della loro struttura, della viscosità e della permeabilità costituiscono degli ottimi filtri molecolari che possono diffondere alcune sostanze di basso peso molecolare, intrappolarne altre più voluminose, impediscono l'attacco di cellule del sangue a causa della loro carica negativa, possono fungere da recettori sulla membrana plasmaticao più comunemente nel glicocalice.
§ Le glicoproteine, in quantità inferiori alle due categorie precedenti, tra le quali spicca la fibronectina, che, grazie all'interazione stabilizzatrice dei glicosaminoglicani solfati, si lega alle fibre collagene.
A causa della scarsa densità delle macromolecole che la costituiscono, è la sostanza amorfa trasparente ed invisibile al microscopio a fresco. È leggermente PAS-positiva per il suo contenuto in glicoproteine (è intensamente PAS-positiva nella cartilagine, nelle membrane basali e nell'osso dove la concentrazione di glicoproteine è maggiore), può però essere colorata con il metodo Alcian blu e con i coloranti basici come l'anilina, che danno luogo a fenomeni di metacromasia. La metacromasia è dovuta alla presenza dei glicosaminoglicani acidi della matrice, ed è tanto più elevata quanto più questi sono solforati (condrotin-solfato, chetaran-solfato, eparan-solfato). La sostanza amorfa contiene elevate quantità d'acqua, che però difficilmente si presentano come liquido interstiziale o tissutale libero, ma sono legate alle molecole della matrice, determinandone l'idratazione. L'acqua legata alla matrice, in cui sono disciolti gas ed altre sostanze, diffonde a partire dai capillari sanguigni e funziona come mezzo di dispersione e scambio tra la circolazione sanguigna e il tessuto connettivo permettendone il nutrimento. Si dice quindi che la sostanza amorfa sia l'elemento con funzione trofica del tessuto connettivo. È possibile riscontrare nella matrice amorfa grandi quantità di liquido interstiziale libero in caso di infiammazione. Oltre alla sua funzione trofica, la disposizione delle molecole della matrice influenza l'orientamento delle fibre in essa contenute, e con la sua complessa trama ostacola la diffusione di microrganismi ed agenti patogeni.
Tipi di tessuto connettivo
Tessuto connettivo
Vi sono diversi tipi di tessuto connettivo, classificati in base a criteri morfologici e funzionali. Il tessuto connettivo più comune, a cui ci si riferisce in genere utilizzando questo termine, viene definito tessuto connettivo propriamente detto (abbreviato spesso come tessuto connettivo p.d.). Esso svolge funzioni di sostegno e di protezione, costituisce la base su cui poggiano i diversi epiteli e contribuisce alla difesa dell'organismo contro urti e traumi esterni.
Il tessuto connettivo propriamente detto si suddivide in:
Il tessuto connettivo propriamente detto si suddivide in:
Tessuto connettivo denso
Si distingue per l'abbondanza della componente fibrosa raccolta in fasci, rispetto alla matrice e alla componente cellulare. Per il tipo di fibre che lo compongono può essere ulteriormente suddiviso in fibroso (fibre collagene tipo I) o elastico (fibre elastiche), e per la disposizione delle fibre può essere distinto in regolare, se esse assumono andamento ordinato, o irregolarese non assumono una disposizione ordinata. La funzione del tessuto connettivo denso è prevalentemente meccanica, l'orientamento e la qualità delle sue fibre determinano infatti le sue diverse proprietà, come la resistenza alla trazione o la deformabilità.
§ Tessuto connettivo denso irregolare: è un connettivo caratterizzato da numerose fibre collagene che si aggregano in fasci molto densi fra loro, talvolta accompagnati da reti di tessuto elastico. Le cellule sono poche, vi sono perlopiù fibroblasti e rari macrofagi, scarsa la sostanza amorfa. Si riscontra nel derma, nella capsula fibrosa di organi quali milza, fegato, testicolo, linfonodi, forma la guaina dei tendini e dei nervi più importanti e il periostio.
§ Tessuto connettivo denso regolare: è un connettivo caratterizzato da fibre collagene fittamente stipate ed orientate tutte nella stessa direzione, concorde a quella della trazione che il tessuto deve sopportare. Scarsa la sostanza amorfa, pochissime le cellule, che sono quasi esclusivamente fibroblasti disposti nei sottili interstizi delle fibre collagene. Come nel denso irregolare, alle fibre collagene possono essere associate reti di tessuto elastico. Forma tendini, legamenti, aponeurosi, stroma corneale. Nei tendini e nei legamenti le fibre raggiungono la disposizione più ordinata e sono orientate tutte nella stessa direzione con i fasci legati da tessuto connettivo lasso, nelle aponeurosi le fibre sono disposte in strati ordinati in più direzioni, nello stroma corneale invece questi strati sono orientati perpendicolarmente l'uno all'altro.
§ Tessuto connettivo denso elastico: è un connettivo caratterizzato dalla prevalenza delle fibre elastiche sulle fibre collagene, vi sono fibroblasti interposti tra i fasci di fibre elastiche, a loro volta avvolti da fibre reticolari. Forma i legamenti gialli delle vertebre, le corde vocali, le lamine fenestrate delle arterie maggiori.
Tessuto connettivo lasso
È il tessuto connettivo propriamente detto più diffuso. Si distingue per l'abbondanza della sostanza amorfa rispetto alla componente fibrosa e su quella cellulare e per il maggior numero di nuclei cellulari rispetto al connettivo denso. Per il tipo di fibre che lo compongono può essere ulteriormente classificato come:
§ fibroso (fibre collagene tipo I),
§ reticolare (fibre collagene di tipo III),
§ elastico (fibre elastiche).
Il tessuto connettivo lasso reticolare è particolarmente diffuso negli organi emopoietici e linfoidi, nella muscolatura lisce e in alcune ghiandole; tra le sue fibre sono presenti numerosi macrofagi e fibroblasti. Uno speciale tipo di tessuto connettivo lasso è il tessuto mucoso, diffuso nell'embrione e in particolare costituente della gelatina di Wharton, ovvero la sostanza amorfa del cordone ombelicale. Tale tessuto si definisce mucoso a causa della sua consistenza, dovuta all'abbondante quantità di acido ialuronico. Possiede poche fibre collagene o reticolari, scarsi macrofagi ma numerosi fibroblasti stellati. Se colorato, presenta intensa basofilia. Il tessuto connettivo lasso forma la tonaca propria e la tonaca sottomucosa delle mucose, avvolge molti organi e si inoltra in essi con setti che ne suddividono il parenchima in lobi e lobuli, costituisce inoltre lo stroma, la tonaca intima e la tonaca avventizia delle arterie, la tonaca media e avventizia delle vene assieme al tessuto muscolare liscio. Connette gli organi e ne riempie gli spazi liberi, circonda muscoli (epimisio, perimisio) e nervi (endonevrio, perinevrio).
Tessuto adiposo
Il tessuto adiposo, che più propriamente andrebbe chiamato organo adiposo, è un particolare tipo di tessuto connettivo. Ha un colorito giallo ed una consistenza molliccia, ed è costituito da cellule adipose, dette adipociti, che possono essere singole o riunite in gruppi nel contesto del tessuto connettivo fibrillare lasso. Se le cellule adipose sono molte, e per questo sono organizzate in lobuli, allora costituiscono il tessuto adiposo che è una varietà di tessuto connettivo lasso. Questo tessuto è presente in molte parti del corpo e, in particolare, sotto allapelle, venendo a costituire il pannicolo adiposo (lat. panniculus diminutivo di pannus, cioè panno) cioè striscia o strato di tessuto di grasso sottocutaneo particolarmente abbondante. Per il 50% è accumulato nel tessuto connettivo sottocutaneo dove svolge sia un'azione di copertura, che un'azione meccanica che un'azione coibente. Il 45% lo ritroviamo nella cavità addominale dove forma il tessuto adiposo interno. Il 5% lo ritroviamo nel tessuto muscolare come grasso di infiltrazione che ha la funzione di agevolare e facilitare la funzione del tessuto muscolare. Questo sottotipo di tessuto è costituito dalle cellule adipose multiloculari (al contrario dei normali adipociti non hanno un'unica goccia lipidica ma tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e lo rendono quindi più disponibile per il metabolismo cellulare), è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l'elevata vascolarizzazione.
Il tessuto adiposo bruno ha esclusivamente la funzione di produrre calore perché i mitocondri delle cellule adipose multiloculari hanno meno ATP sintetasi, l'enzima che catalizza la sintesi dell'ATP, a partire dall'ADP, da fosforo inorganico e dall'energia derivante dalla respirazione cellulare. Posseggono invece una proteina canale (la termogenina) la quale dissipa il gradiente elettrochimico degli ioni idrogeno che il ciclo di krebs normalmente produce a cavallo tra la membrana interna e lo spazio intermembrana. Questa peculiarità fa sì che l'energia prodotta dalla scissione dei trigliceridi non venga utilizzata per la produzione di ATP e venga trasformata in calore.
Il grasso bruno è ben rappresentato nei neonati di molte specie (nella specie umana soprattutto a livello della nuca, del collo e delle scapole). Negli adulti è abbondante invece quasi esclusivamente nelle specie che vanno in letargo, mentre negli adulti di altre specie, compresa quella umana, esso è scarsamente presente (l'esistenza di due diverse tipologie di lipoma, cioè di neoplasie del tessuto adiposo, mostra però la permanenza di due diverse tipologie di tessuto adiposo anche nell'individuo adulto). (of)
Tessuto cartilagineo
Il tessuto cartilagineo è un particolare tipo di tessuto connettivo. È costituito da fibre connettivali immerse in una sostanza amorfa molto consistente chiamata condrina e di cellulecontenute in cavità lenticolari. Le cellule sono disposte in gruppi isogeni e vengono chiamate condrociti. Questo tipo di tessuto si divide in: ialino, elastico e fibroso.
Tessuto osseo
Il tessuto osseo è un tipo particolare di tessuto connettivo, che svolge funzione di sostegno strutturale dell'intero organismo. La sua caratteristica principale è quella di possedere una matrice extracellulare calcificata, che fornisce al tessuto stesso notevoli doti di compattezza e di resistenza. La matrice contiene inoltre fibre, specialmente elastiche, che conferiscono al tessuto un certo grado di flessibilità, e ovviamente da cellule denominate osteoblasti. In base all'organizzazione della matrice, il tessuto osseo può essere diviso in due sottotipi:tessuto osseo lamellare e tessuto osseo non lamellare.
§ il tessuto osseo non lamellare, è presente nei volatili, mentre nei mammiferi rappresenta la versione immatura del tessuto osseo, ed è presente solo durante lo sviluppo dell'organismo, per essere poi rimpiazzato dal tessuto lamellare durante la crescita. In questo tipo di tessuto la matrice calcificata non è organizzata in strutture definite, ma si presenta disordinata ed irregolare
§ il tessuto osseo lamellare è presente invece nell'organismo adulto, ed caratterizzato dall'alto grado di organizzazione dei componenti della matrice, che sono disposte in strati, definiti appunto lamelle, altamente ordinati. Può a sua volta essere suddiviso in due tipi, a seconda del tipo di organizzazione delle lamelle: tessuto osseo spugnoso e tessuto osseo compatto.
§ nel tessuto osseo spugnoso, le lamelle vanno a costituire strutture ramificate definite spicole; per questo motivo, all'esame ottico appare come una massa spugnosa ricca di cavità intercomunicanti
§ nel tessuto osseo compatto invece, le lamelle si organizzano a formare strutture concentriche, definite osteoni, addossate le une alle altre a lasciare un'unica lacuna centrale.
Tessuto ematico o Sangue
Il sangue è un tessuto fluido contenuto nei vasi sanguigni dei Vertebrati, dalla composizione complessa, può essere considerato come una varietà di tessuto connettivo. È formato da una parte liquida detta siero e da una parte corpuscolare, costituita da cellule o frammenti di cellule. Ha una funzione trofica (cioè portano sostanze nutritive, ossigeno, ormoni, ecc.)
Linfa
La linfa è un altro tessuto fluido, che circola nel sistema linfatico. Si distingue dal sangue sia per la composizione molecolare del plasma, sia per il contenuto cellulare: nella linfa sono infatti del tutto assenti i globuli rossi e sono preponderanti i linfociti.
Il tessuto adiposo è formato da cellule dette adipociti ed è diviso in tessuto adiposo bianco (WAT) e tessuto adiposo bruno (BAT).
Tessuto adiposo bianco o giallo
Questo sottotipo di tessuto è costituito dalle cellule adipose uniloculari ed è il tessuto adiposo più diffuso nell'organismo umano. Si presenta giallo o biancastro quando è osservato al microscopio ottico.
Struttura
Le cellule che lo formano sono grandi (50 – 100 micron) e molto particolari: il nucleo e tutti gli organelli sono pigiati in un angolino della cellula da una grossa goccia di trigliceridi. Questecellule si riuniscono in gruppetti (lobuli di grasso) e separati da connettivo lasso. È presente in larga quantità nell’ipoderma e, in misura minore, nel mesentere e nel mediastino. Lamembrana citoplasmatica dell’adipocita contiene enzima particolare: la lipoproteinlipasi; mentre nel citoplasma ce n’è un altro, il cui funzionamento, è stimolato o inibito da ormoni: si chiama, appunto, lipasi ormone dipendente.
Funzioni
Le funzioni del tessuto adiposo bianco o giallo (colore fisiologico) sono:
1. Funzione meccanica: occupa interstizi, riveste i nervi, i vasi ed i muscoli foderandoli. Riempie alcuni interstizi del midollo osseo. Funge da "cuscinetto" protettivo in parti del corpo diverse in base all'età e al sesso.
2. Funzione termoisolante: il grasso non conduce il calore, per cui non disperde il calore generato dall’organismo.
3. Funzione di riserva: la membrana citoplasmatica dell’adipocita contiene la lipoproteinlipasi, un enzima che scalza i lipidi dalle loro proteine vettrici (lipoproteine epatiche o chilomicroni enterici) e scinde questi ultimi in glicerina ed acidi grassi; questi ultimi passano la membrana ed entrano nel citoplasma, dove sono riconvertiti in lipidi. La conversione in lipidi può essere anche fatta da glucosio. Inoltre, gli adipociti possiedono anche la lipasi ormone-dipendente, che agisce tagliando i trigliceridi in glicerina ed acidi grassi, su stimolo dell´ormone della crescita, testosterone, glucagone, dell’adrenalina, della tiroxina, della triiodotironina e del neurotrasmettitore noradrenalina. Questo fa sì che i prodotti della lisi fuoriescano dalla cellula e s’attacchino all’albumina ematica per essere portati dove ce n’è bisogno.
§ è parte integrante della regolazione dell'appetito
§ è parte integrante della regolazione del metabolismo
§ è coinvolto nelle funzioni della fertilità umana
§ regola in misura rilevante la formazione e la differenziazione di cellule ematiche
§ è coinvolto nei processi della coagulazione del sangue
§ gioca un ruolo centrale in diversi meccanismi di difesa immunitaria aspecifici e specifici, cellulari e umorali.
§ in caso di infezioni libera dei mediatori immunitari che attivano e stimolano le difese immunitarie
§ pare che in estremi stati di sottopeso (BMI<18 kg/m'^'-2-'^') e di sovrappeso (BMI>42 kg/m'^'-2-'^') possa indurre dei stati infiammatori cronici.
L´insulina lo fa accumulare solo nell’addome, mentre gli estrogeni tendono a distribuirlo un po’ ovunque, ma soprattutto nei fianchi. Un adulto sano ne ha il 10-15% in peso, altrimenti èsottopeso (se ne ha molto meno), sovrappeso (se ne ha poco più) oppure è affetto da obesità (più o meno grave; secondo la quantità di grasso). È impossibile che cellule di questo tipo muoiano spontaneamente, mentre è possibile che si riduca di molto il loro volume, soprattutto con l'esercizio fisico. D'altro canto recenti ricerche hanno dimostrato come una dieta ricca di grassi idrogenati possa favorire la trasformazione degli adipociti in "adipoblasti" che, riproducendosi, provocherebbero l'ispessimento dello strato adiposo.
Questo sottotipo di tessuto è costituito dalle cellule adipose multiloculari (al contrario dei normali adipociti non hanno un'unica goccia lipidica ma tante piccole gocce che aumentano la superficie di combustibile esposta al citosol e lo rendono quindi più disponibile per il metabolismo cellulare), è molto scarso nell’uomo adulto e appare brunastro se osservato al microscopio ottico, sia per la presenza massiccia di mitocondri che per l'elevata vascolarizzazione.
Il tessuto adiposo bruno ha esclusivamente la funzione di produrre calore perché i mitocondri delle cellule adipose multiloculari hanno meno ATP sintetasi, l'enzima che catalizza la sintesi dell'ATP, a partire dall'ADP, da fosforo inorganico e dall'energia derivante dalla respirazione cellulare. Posseggono invece una proteina canale (la termogenina) la quale dissipa il gradiente elettrochimico degli ioni idrogeno che il ciclo di krebs normalmente produce a cavallo tra la membrana interna e lo spazio intermembrana. Questa peculiarità fa sì che l'energia prodotta dalla scissione dei trigliceridi non venga utilizzata per la produzione di ATP e venga trasformata in calore.
Il grasso bruno è ben rappresentato nei neonati di molte specie (nella specie umana soprattutto a livello della nuca, del collo e delle scapole). Negli adulti è abbondante invece quasi esclusivamente nelle specie che vanno in letargo, mentre negli adulti di altre specie, compresa quella umana, esso è scarsamente presente (l'esistenza di due diverse tipologie di lipoma, cioè di neoplasie del tessuto adiposo, mostra però la permanenza di due diverse tipologie di tessuto adiposo anche nell'individuo adulto).
Omeotermia
L'omeotermia (dal greco: omòs = uguale; termos = calore) è la condizione caratteristica di quegli animali in grado di controllare e di mantenere costante la propria temperatura corporea che, entro determinati limiti, risulta indipendente da quella dell'ambiente fisico circostante, conseguentemente riescono ad avere un metabolismo veloce anche a basse temperature.
Animali omeotermi sono ad esempio gli Uccelli ed i Mammiferi, i quali si distinguono dagli animali ectotermi come i Rettili, la cui temperatura dipende strettamente da quella esterna e devono necessariamente passare diverse ore al sole per poterla regolare.
Gli animali omeotermi vengono anche chiamati a sangue caldo, mentre gli ectotermi vengono detti a sangue freddo.
Strato germinativo
(ricerca da Strato basale)
Nell'anatomia umana lo strato germinativo (detto anche basale perché ne costituisce la base) è una strato dell'epidermide.
Anatomia
Si tratta della parte più profonda dell'epidermide, sotto lo strato chiamato spinoso.
Funzionalità cellulare
Le cellule che costituiscono lo strato basale sono posizionate in un'unica fila, hanno forma cubica con nucleo ovale e citoplasma basofilo e soprattutto sono cellule staminali dotate di intensa attività proliferativa. Presentano sulla superficie basale emidesmosomi che le ancorano al derma sottostante.
Cheratinocita
I cheratinociti sono il tipo cellulare più abbondante nell'epidermide. Essi sono presenti nello strato corneo, in quello spinoso ed in quello granuloso e costituiscono l'impalcatura dei vari strati dell'epidermide. Tra queste cellule è spesso difficile individuare un preciso confine al microscopio ottico. Hanno principalmente una funzione protettiva da aggressioni di organismi patogeni, calore, radiazioni UV, perdita d'acqua.
Una giunzione cellulare, essendo il glicocalice dotato di carica netta negativa che farebbe respingere le cellule una dall'altra, è una specializzazione di una faccia di membrana che rende possibile e controlla i processi di adesione tra due cellule. Esistono due classi di contatti adesivi tra le cellule:
una prima classe composta da strutture non organizzate distribuite sulla superficie cellulare; fanno parte di questa classe sistemi di adesione calcio dipendenti e calcio-indipendenti.
§ Le calcio-indipendenti fanno uso sia di proteine transmembrana che esterne ad essa o addirittura estrinseche, ne esistono di tipi diversi in tessuti diversi e inoltre possono essere in grado di legare anche le integrine.
§ Le calcio-dipendenti, invece, fanno uso di tre tipologie di proteine: "caderine, integrine, selectine". Le caderine, riscontrabili anche in giunzioni di tipo specializzato, sono una classe di proteine transmenbrana altamente glicosilate, formano legami intercellulari forti intrecciandosi con le protrusioni di caderine provenienti da altre cellule, mentre a livello della loro membrana plasmatica, dalla quale traggono origine, si ancorano al citoscheletro cellulare, in particolare a filamenti di actina e a filamenti intermedi, per mezzo di una proteina: la catenina. Le selectine sono presenti nelle cellule dotate di movimento e negli endoteli vascolari poiché esse sono in grado di creare legami in grado di scorrere l'uno rispetto all'altro, spesso sono coadiuvate dalle integrine; per esempio, i leucociti che legano per l'appunto gli endoteli vascolari. Le integrine infine mediano i legami soprattutto del tipo cellula-matrice; di quest'ultime, oltre che di calcio-dipendenti, ne esistono di magnesio-dipendenti.
La seconda classe, invece, è composta da complessi di adesione specializzati, in cui è possibile riconoscere strutture organizzate a livello funzionale. Nei vertebrati si distinguono in tre tipi:
§ Giunzioni comunicanti (gap junctions)
§ Giunzioni aderenti o di ancoraggio (zonulae adhaerentes, anchoring junctions; nel caso particolare dei desmosomi si dicono maculae adhaerentes)
(Nell'Immagine sono riportati i filamenti di actina tra i desmosomi, in realtà sono filamenti del citoscheletro delle cellule adiacenti)
Negli inverterbrati, esistono molti altri tipi di giunzioni cellulari.
A seconda, invece, dell'estensione sulla membrana si distinguono tra:
§ A fascia o 'zonulae': una zonula è una giunzione perimetrale che coinvolge una banda che circonda la cellula e consente l'adesione completa di tutta la superficie in cui è presente
§ Circoscritte o 'maculae': le maculae sono dei dispositivi funzionali di forma rotonda o ovale che occupano una porzione circoscritta della superficie del plasmalemma.
Giunzioni occludenti
Le giunzioni occludenti (giunzioni strette o tight; o Zonulae occludentes) impediscono il passaggio dei fluidi tra le cellule andando a formare attorno al perimetro cellulare una cintura continua detta zonula. Sono particolarmente presenti negli epiteli di rivestimento (es.pelle) e negli epiteli intestinali per far sì che non filtrino sostanze tra i vari ambienti. Nelle giunzioni occludenti gli spazi interstiziali sono annullati in corrispondenza dei punti nodali: punti in cui i lembi di membrana che si affrontano sono saldamente coesi. La totalità delle membrane adiacenti è percorsa da ripetute serie di tali punti, sicché i lembi di membrana appaiono anastomizzati tra loro. Due sono le principali proteine integrali di membrana coinvolte: Claudina eOccludina, che sporgono sulla faccia esterna delle membrane e sono tra loro unite da legami non covalenti. Queste due proteine formano una cintura intorno alla cellula che nemmeno le proteine di membrana possono attraversare, dividendola quindi in due o più domini. Al microscopio elettronico quindi la zonula occludens appare come una struttura a tre binari elettrondensi: i due più esterni sono rappresentati dagli strati fosfolipidici più interni delle due cellule coinvolte nella giunzione, quello più interno è dato dalla fusione dei due strati fosfolipidici esterni delle due cellule. Di conseguenza la membrana cellulare nel suo insieme, a livello della giunzione occludente, assume un aspetto pentalaminare in quanto le tre bande elettrondense sono intercalate a bande elettrontrasparenti.
Le Giunzioni occludenti svolgono una funzione sigillante, uniscono le due cellule adiacenti senza lasciare interstizi, in modo che le molecole idrosolubili non filtrino facilmente tra una cellula e l'altra. Sono localizzate generalmente all’apice di cellule polarizzate come quelle dell’epitelio intestinale e impediscono alle molecole presenti, ad esempio, nel lume dell’intestino di valicare la lamina cellulare; se una molecola deve passare dal lume intestinale all’interno dell’organismo o passare da cellula a cellula deve sottostare necessariamente all’azione di vaglio dei dispositivi della cellula.
Giunzioni comunicanti
Le giunzioni comunicanti (o serrate o nexus o gap) possiedono canali proteici detti connessoni, che si aprono in risposta a determinati segnali chimici quali modificazioni del pH o della concentrazione degli ioni calcio, consentendo il passaggio di ioni o molecole di basso peso molecolare (fino a 1 kDa) tra due cellule. I connessoni sono presenti su entrambe le facce delle membrane cellulari formando un'unica struttura con poro centrale; essi sono composti da un anello di sei monomeri di proteine integrali transmembrana, per faccia cellulare, dette connessine, di 7-7,5 nm di lunghezza, che si aprono e chiudono con un meccanismo simile a quello del diaframma di una macchina fotografica, in senso levogiro (antiorario). Il lume del connessone, in condizioni normali, ha un diametro di 2 nm. Lo spazio intercellulare in presenza delle giunzioni gap si riduce a circa 1-2 nm, in esso le due porzioni del connessone aderiscono tra loro formando un canale che permette anche l'accoppiamento elettrico tra due cellule. In una giunzione comunicante il numero di connessoni varia da poche decine a qualche centinaio, con disposizione regolare.
Giunzioni aderenti
Le giunzioni aderenti (ancoranti, di ancoraggio) interessando sia punti di ancoraggio intercellulari che tra cellula e matrice extracellulare, forniscono un supporto strutturale ai tessuti, come ad esempio i muscoli e le cellule dell'epidermide, andando a costituire nel tessuto un dispositivo tramite cui le forze applicate si scompongono secondo tante direttrici. Tale tipo di giunzione sfrutta i filamenti actinici, differenziandosi in due tipi: le Fasce di adesione (fascia adhaerens) e le zone diadesione (zonula adhaerens); le fasce d'adesione sono collegamenti che si stabiliscono tra una cellula e l' altra adiacente, grazie alle Caderine, proteine strutturali che sporgono nello spazio interstiziale delle cellule e si uniscono intersecandosi fra loro, mentre dal lato delle membrane cellulari sono legati ai filamenti actinici del citoscheletro tramite proteine transmembrana che fungono da ponte, quali le vincoline e le alfa-actine. Esse formano zona di adesione continua immediatamente sotto alle tight junctions. La Fascia adherens è simile alla zonula adherens ma meno estesa. Infine sono presenti contatti focali, giunzioni che collegano la cellula alla matrice cellulare, tramite integrine anziché caderine, collegate ai filamenti di actina tramite altre proteine transmembrana (come l' alfa-actinina, la talina, la vincolina e la filaminadi); di solito la placche di adesione focale hanno vita breve e vengono continuamente distrutte e ricreate. Nelle giunzioni aderenti i due lembi di membrana che si affrontano corrono parallelamente tra loro e lo spazio interstiziale ha uno spessore di 15-25 nm.
Desmosomi
I desmosomi, o maculae adhaerentes, sono le giunzioni cellulari più conosciute perché al microscopio elettronico hanno una configurazione caratteristica. Immediatamente sotto la membrana plasmatica appare una zona marcatamente elettrondensa: essa è costituita da un addensamento di materiale proteico citoplasmatico che viene definito placca di adesione(formata dalle desmoplachine e dalle placoglobulina) cui convergono i filamenti intermedi del citoscheletro (principalmente filamenti di vimentina o cheratina negli epiteli, questi ultimi detti anche tonofilamenti), che si legano lateralmente alla placca di adesione per poi ricurvare con un andamento che può essere paragonato a quello di un arco a tutto sesto. Nello spazio interstiziale, dello spessore di 20 nm, compare una linea mediana elettrondensa determinata da proteine calcio-dipendenti (Caderine) quali desmocollina e desmogleina che si legano alla placca di adesione e alle loro omologhe in modo analogo rispetto a quanto descritto sopra per le giunzioni aderenti. Come le giunzioni aderenti, i desmosomi assolvono prevalentmente a funzioni meccaniche: grazie al decorso dei filamenti intermedi, le forze conseguenti a insulti meccanici vengono ben scaricate nel tessuto.
Emidesmosomi
Gli emidesmosomi, che visti al microscopio elettronico appaiono morfologicamente simili a mezzo desmosoma, sono in realtà molecolarmente, e funzionalmente, alquanto diversi da essi. Negli emidesmosomi, come nei desmosomi, le desmoplachine si legano principalmente ai filamenti intermedi, ma le proteine di membrana coinvolte non sono caderine, bensìintegrine che, mediante altre molecole-adattatore, si legano con le fibre della lamina basale ancorando e incollando il tessuto epiteliale alla lamina basale.
Desmosoma
Un desmosoma, o macula adhaerens è una giunzione di natura proteica tra cellule epiteliali adiacenti che salda i rispettivi citoscheletri (in particolare i filamenti intermedi) donando al tessuto di cui le cellule fanno parte resistenza alla trazione ed altri traumi fisici. Il desmosoma si lega ai filamenti intermedi, fatti di cheratina, tramite una placca citoplasmatica composta da due proteine chiamate desmoplachina e placoglobina, che legano anche le proteine integrali di membrana desmocollina edesmogleina, alle quali spetta il compito di legarsi a proteine analoghe su di un desmosoma della cellula adiacente.
Componente proteica del desmosoma
Le proteine costituenti il desmosoma si possono classificare in base alla loro localizzazione. Pertanto si distingue una componente proteica citoplasmatica, una trans membrana ed una extracellulare. I desmosomi si legano ai filamenti intermedi attraverso strutture proteiche citoplasmatiche quali: desmoplachine, proteine che si legano direttamente ai filamenti intermedi; placo globine, proteine che si legano direttamente a delle placofiline ed entrambe sono strettamente collegate alla desmoplachina. Pertanto il legame con i filamenti intermedi è mediato da queste tre proteine. Il legame extracellulare e quindi con la cellula adiacente avviene ad opera di proteine appartenenti alla famiglia delle caderine quali in particolare: desmogleina e desmocollina. Tali proteine sporgono dalla membrana plasmatica verso la matrice extracellulare entrando in mutuo contatto con le strutture omologhe adiacenti. I filamenti intermedi legati dalle desmoplachine possono variare in base al sito in cui ci si trova: nelle cellule epiteliali i microfilamenti legati alle desmoplachine sono principalmente le tono fibrille di cheratina, se ci si sposta in un cardiomiocita allora si vedrà come il filamento intermedio sia costituito da desmina, mentre nel caso del sistema linfatico sarà la vimentina il componente principale del filamento intermedio.
Membrana basale
Membrana basale osservata al microscopio elettronico a trasmissione.
La membrana basale è una struttura laminare specializzata della matrice extracellulare di spessore compreso tra 70 e 300 nm; di solito fa da interfaccia tra un tessuto connettivale e un tessuto non connettivale, tipicamente epiteli.
Essa viene prodotta sia dalle cellule epiteliali che dai fibroblasti del connettivo in una forma di cooperazione.
Si può dimostrare al microscopio ottico, laddove il suo spessore sia entro il limite di risoluzione, sfruttando la sua PAS positività o la sua argentaffinità; tuttavia, solo con la microscopia elettronica a trasmissione se ne possono distinguere i vari strati.
Localizzazione
La membrana basale è sempre presente tra il tessuto connettivo e il tessuto epiteliale sia che esso abbia funzione di rivestimento oppure ghiadolare, sia che abbia origine ectodermica,mesodermica o endodermica.
La sua presenza si riscontra però anche in altre sedi: sopra gli endoteli dei capillari; a circondare le fibre muscolari, dove la sua lamina reticolare si continua con quella dell'endomisio; intorno agli adipociti; a livello dei nervi periferici, esternamente alle cellule di Schwann.
Struttura
La membrana basale osservata al microscopio elettronico a trasmissione risulta formata da tre strati:
§ lamina lucida[1] (o lamina rara) (avente spessore medio di 50 nm): è occupata principalmente da glicoproteine extracellulari di adesione come la laminina (che lega da un latorecettori integrinici transmembrana e distroglicani, entrambi sporgenti sul versante basale delle cellule epiteliali, e dall'altro i proteoglicani, i glicosamminoglicani e il collagene di tipo IV della lamina densa - tale legame è mediato da un'altra glicoproteina di adesione, l'entactina o nidogenina)
§ lamina densa[2] (il cui spessore varia dai 30 ai 300 nm) è formata da proteoglicani, GAGs liberi (per esempio, eparansolfato) e soprattutto da collagene di tipo IV che non forma fibre ma una sottile e resistente rete (grazie al fatto che non vengono rimossi i peptidi terminali in sede extracellulare, come accade agli altri tipi di collagene)
§ lamina fibroreticolare (o lamina reticularis): costituita da fibre reticolari di collagene di tipo III, non contiene proteoglicani; fibrille di collagene di tipo VII connettono invece il collagenedi tipo IV della lamina densa alla lamina fibroreticolare ancorandola ad essa. A questo legame concorrono anche i gruppi basici delle fibre collagene, che formano legami con i gruppi acidi dei GAG della lamina densa.
La lamina reticularis è sintetizzata dai fibroblasti, a differenza delle lamine lucida e densa, sintetizzate dalle cellule epiteliali.
Struttura sandwich
In alcuni casi, quando due foglietti epiteliali si continuano senza alcun connettivo frapposto (come a livello degli alveoli polmonari e dei corpuscoli renali), la membrana basale risulta costituita da due lamine lucide e una lamina densa tra esse frapposte (motivo per cui questa struttura è nota anche come sandwich).
Funzioni
La membrana basale ha numerose funzioni:
§ Funzione meccanica: fornisce supporto fisico agli epiteli, nonché un sito di ancoraggio per le cellule.
§ Regolazione delle funzioni cellulari: per esempio, contribuisce a regolarne la polarità
§ Regolazione del microambiente cellulare: funziona come un filtro molecolare grazie alla rete costituita dal collagene di tipo IV presente a livello della lamina densa e aiglicosamminoglicani (sia liberi, come l' eparansolfato, sia associati in proteoglicani, come il perlecano), per via delle sfere di idratazione dei numerosi gruppi acidi e solforati. Questa funzione è particolarmente importante per gli epiteli che non essendo vascolarizzati scambiano le molecole per diffusione con il connettivo, il quale invece è vascolarizzato: questo scambio è regolato proprio dal filtro che è costituito dalla membrana basale.
§ Supporto alla rigenerazione tissutale: in certi casi può offire una sorta di struttura guida per le cellule che devono riorganizzarsi in seguito ad una lesione
§ Sito di stoccaggio per molecole a funzione criptica: è il caso dell'endostatina, molecola ad attività angiogenetica che deriva dal collagene XVIII, e che viene liberata in seguito alla proteolisi di quest'ultimo.
Membrana Basale / Lamina Basale
Alcuni autori designano con il termine "membrana basale" unicamente quelle strutture contenenti tutte e tre le lamine (rara, densa, fibroreticolare) mentre riservano la denominazionelamina basale alle strutture composte soltanto di lamina lucida e lamina densa. Secondo questa impostazione, la membrana basale si può vedere come una struttura data da una lamina basale più una lamina reticolare. Le ragioni di questa distinzione sono dovute o al fatto che la lamina fibroreticolare è considerata parte del tessuto connettivo, o per distinguere i casi in cui questa è assente, come nelle membrane basali con struttura sandwich.
L'uso del termine lamina basale sta lentamente sostituendo quello di membrana basale, relegando il termine di membrana esclusivamente alle strutture con doppi strati fosfolipidicicome la membrana cellulare. Nonostante ciò numerosi autori continuano a preferire il termine di membrana basale.
Emidesmosoma
Gli emidesmosomi sono particolari punti di adesione, appartenenti al gruppo delle giunzioni di ancoraggio. Si occupano della giunzione tra la cellula e la matrice extracellulare e all'interno della cellula sono collegati a filamenti intermedi. Sono presenti in gran numero nelle cellule epiteliali e sono caratterizzati da una placca proteica all'interno della cellula connessa con la sualamina basale. Somigliano morfologicamente ai desmosomi per il fatto di connettersi ai filamenti intermedi. Connettono la superficie basale di una cellula epiteliale con la superficie basale sottostante. I domini extracellulari delle integrine che mediano all'adesione, si legano alla proteina laminina, nella lamina basale, mentre un dominio intracellulare si lega tramite una proteinadi ancoraggio ai filamenti intermedi di cheratina. I filamenti di cheratina associati agli emidesmosomi hanno le loro estremità sepolte nella placca. L'integrina che media l'interazione tra citoscheletro e laminina è l'integrina α6β4 esclusivamente presente nelle strutture emidesmosomali. Un'altra proteina di connessione è BPAG2 (nome alternativo: collageno XVII). La connessione tra BPAG2, integrina α6β4 e i filamenti intermedi è mediata dalla IFAP (Proteina associata ai filamenti intermedi) plectina che è associata a sua volta alla distonina.
Cheratina
La cheratina è una proteina filamentosa ricca di zolfo, contenuto nei residui amminoacidici di cisteina; è molto stabile e resistente. Si divide in α-cheratina, presente nei mammiferi, e β-cheratina, presente nei rettili (soprattutto nei serpenti costrittori, come i pitoni) e negliuccelli. È prodotta dai cheratinociti ed è il principale costituente dello strato corneo dell'epidermide, delle unghie e di appendici qualicapelli, corna e piume. È presente nell'epidermide dei Tetrapodi e soprattutto degli amnioti, nei quali garantisce l'impermeabilità.
Struttura
La molecola di cheratina è costituita da una catena polipeptidica con struttura ad elica di lunghezza intorno ai 450 Å. Le catene interagiscono tra loro, organizzandosi in strutture man mano più grandi e complesse. Per prima cosa le singole eliche si associano, tramite interazioni idrofobiche, in coppie (dimeri) e ciascuna coppia, oltre all'avvolgimento delle eliche, si avvolge ulteriormente su se stessa. A loro volta i dimeri così formati si associano tra loro, sia trasversalmente che longitudinalmente, tramite ponti disolfuro tra residui di cisteina di filamenti vicini e altre interazioni. Si formano in questo modo i profilamenti. Secondo un grado di organizzazione crescente, si costituiscono successivamente le protofibrille (due protofilamenti affiancati), le microfibrille (quattro protofibrille affiancate) e infine lemacrofibrille (più microfibrille).
Si distinguono due categorie di cheratina: molle e dura. Il primo tipo è traslucido, di consistenza plastica e facilmente divisibile in piccole scaglie. Se sottoposto a calore si retrae, se invece inserito in acqua fredda si idrata gonfiandosi; il secondo tipo è invece compatto, di colore ocra, non divisibile in scaglie e molto resistente sia all'acqua che al calore.
Utilizzo
Il principale utilizzo della cheratina è nell'industria farmaceutica, in quanto questo materiale ricopre le pillole gastro-resistenti.
Strato spinoso
Nell'anatomia umana lo strato spinoso è una strato dell'epidermide.
Strati della pelle
Anatomia
Si trova fra lo strato granuloso e quello basale, esso è formato da cellule poliedriche che tendono ad appiattirsi verso lo strato superiore. Il nome lo si deve alle numerose estroflessioni, dette ponti citoplasmatici, che fanno assumere alle cellule l'aspetto spinoso. Tali estroflessioni presentano numerosi desmosomi, che mettono le cellule in un rapporto di contiguità. Lo spessore dello strato spinoso varia da 4 a 10 strati di cellule.
Funzionalità cellulare
Le cellule dello strato spinoso sintetizzano proteine come l'involucrina che si depositano nello spazio intercellulare degli strati sovrastanti. Si osservano inoltre granuli di melanina, sintetizzata dai melanociti e cheratinosomi, organuli contenenti materiale lipidico che deve essere rilasciato nello spazio intercellulare del successivo strato granuloso, allo scopo di costituire una barriera all'acqua.
Strato granuloso
Nell'anatomia umana lo strato granuloso è una strato dell'epidermide.
Strati della pelle
Anatomia
Si trova fra lo strato lucido e quello spinoso, il suo nome è dato dalla composizione dello strato: cheratinociti contenenti granuli dalle forme irregolari (granuli di cheratoialina). Viene formato da 3-5 file di cellule che risultano leggermente appiattite.
Funzionalità delle cellule
Le cellule di questo strato hanno la funzione di sintetizzare involucrina e loricrina, che si depositano sulla superficie interna della membrana cellulare, provocando un loro ispessimento. Nel citoplasma si trovano grossi granuli basofili detti cheratoialini, contenenti una sostanza omogenea, la cheratoialina.
Strato corneo
Lo strato corneo è lo strato più esterno della cute, continuamente sottoposto a solleciti meccanici esterni.
Composizione
È formato da 20 a 30 lamine cellulari, ognuna di esse composta da cellule morte che assomigliano a scaglie sovrapposte. Lo strato corneo costituisce circa i tre quarti dell'epidermide. Ricca di cheratina, più la cellula è sottoposta a stress meccanico, più lo sarà lo strato corneo, per questa sua caratteristica ritroviamo lo strato più spesso nelle mani e nei piedi. Quando i cheratociti emergono dallo strato germinativo, diventano parte dello stato spinoso, poi granuloso. Qui accumulano sempre più cheratina, si appiattiscono e muoiono, formando lo strato lucido (chiamato così perché rifrangente), infine costituendo lo strato corneo. Infine i cheratociti vengono via via eliminati, perché troppo gravidi di cheratina.
Apoptosi
Una cellula in apoptosi. In uno dei molti scenari apoptotici, il processo è stimolato da una cellula adiacente; la cellula morente espone in seguito segnali che richiamano deimacrofagi.
In biologia, il termine apoptosi (coniato nel 1972 da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori) indica una forma di morte cellulare programmata, termine con il quale il processo è anche chiamato. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema.
Al contrario della necrosi, che è una forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma cellulare, l'apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP) e generalmente porta ad un vantaggio durante il ciclo vitale dell'organismo (è infatti chiamata da alcuni morte altruista o morte pulita). Durante il suo sviluppo, ad esempio, l'embrione umano presenta gli abbozzi di mani e piedi “palmati”: affinché le dita si differenzino, è necessario che le cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano.
Dagli inizi degli anni ’90 la ricerca sull'apoptosi ha visto una crescita spettacolare. Oltre alla sua importanza come fenomeno biologico, ha acquisito un enorme valore medico, infatti processi difettosi di apoptosi riguardano numerose malattie. Una eccessiva attività apoptotica può causare disordini da perdita di cellule (si vedano ad esempio alcune malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson), mentre un'apoptosi carente può implicare una crescita cellulare incontrollata, meccanismo alla base delle neoplasie.
Funzioni dell'apoptosi
Nel danno cellulare e nell'infezione
L'apoptosi può avvenire quando una cellula è danneggiata oltre le proprie capacità di riparazione, oppure infettata da un virus. Il segnale apoptotico può venire dalla cellula stessa, dal tessuto circostante o da cellule del sistema immunitario.
Se la capacità apoptotica di una cellula è danneggiata (ad esempio a causa di una mutazione), oppure se è stata infettata da un virus in grado di bloccare efficacemente l'inizio della cascata apoptotica, la cellula danneggiata continuerà a dividersi senza limiti, trasformandosi in un cancro. Per esempio, il papillomavirus umano (HPV), esprime due oncogeni: E6stimola la degradazione della proteina p53, che è una chiave fondamentale della linea apoptotica, attraverso un sistema proteolitico mediato da ubiquitina ed E7 si lega a Rb (gene soppressore tumorale) inibendola. In questo modo si ha lo sviluppo del carcinoma cervicale.
Nella risposta allo stress o ai danni al DNA
Condizioni di stress, quali la mancanza di nutrienti, oppure il danneggiamento del DNA dovuto a molecole tossiche (es: idrocarburi policiclici) o all'esposizione a UV o radiazioni ionizzanti (raggi gamma e raggi X) ma anche condizioni di ipossia, possono indurre una cellula ad iniziare l'apoptosi.
Nell'omeostasi cellulare
In un organismo adulto, il numero delle cellule contenute in un organo deve rimanere costante entro un certo margine. Le cellule del sangue e degli epiteli di rivestimento, ad esempio, sono costantemente rinnovate a partire dai loro progenitori staminali; ma la proliferazione è compensata da una costante morte cellulare.
In un organismo umano adulto attorno ai 50-70 miliardi di cellule muoiono ogni giorno a causa dei processi apoptotici. In un anno la massa delle cellule ricambiate è pari alla massa del corpo stesso.
L'omeostasi è mantenuta quando la consistenza delle mitosi (proliferazione cellulare) in un tessuto è bilanciata dalla morte di un numero equivalente di cellule. Se questo equilibrio è disturbato si hanno due scenari:
§ Se le cellule si dividono più velocemente di quanto muoiano, si sviluppa un tumore.
§ Se le cellule muoiono più velocemente di quanto si dividano, si hanno disordini da perdita di cellule.
Nello sviluppo
La morte cellulare programmata è parte essenziale dello sviluppo dei tessuti sia nelle piante che nei metazoi. Ricerche sugli embrioni di pollo – in particolare sullo sviluppo del tubo neurale – hanno suggerito come la proliferazione selettiva delle cellule, combinata con un'altrettanto selettiva apoptosi, disegni le architetture dei tessuti nei vertebrati durante lo sviluppo. Durante lo sviluppo dell'embrione di un vertebrato, le cellule della notocorda producono un gradiente di una molecola segnale detta Sonic hedgehog (Shh): questo gradiente dirige la formazione e lo sviluppo del tubo nerurale. Le cellule che ricevono Shh (attraverso il recettore di membrana Patched1 o Ptc1) sopravvivono e proliferano. In assenza di Shh, la parte intermebrana (carbossi-terminale) del medesimo recettore si lega alla caspasi-3, e tale legame fa sì che venga esposto un dominio pro-apoptotico[1][2].
Così come nell'esempio precedente, le cellule di tutti i tessuti degli organismi multicellulari, dipendono dal continua disponibilità di segnali di sopravvivenza dall'ambiente extracellulare.
Nella regolazione delle cellule del sistema immunitario
I recettori di membrana dei linfociti B e T immaturi non sono fatti su misura per coincidere con antigeni conosciuti. Al contrario, sono generati attraverso un processo altamente variabile che si esprime in una immensa varietà di recettori, capace di legarsi con uno stupefacente numero di forme molecolari. Ciò significa che la maggior parte di questi linfociti immaturi sono o inefficaci (dacché i loro recettori non legano alcun antigene con significato) oppure pericolosi per l'organismo medesimo, perché i loro recettori sono complementari a molecole normalmente presenti nell'organismo. Se questi linfociti fossero rilasciati senza ulteriori processi essi diventerebbero auto-immuni attaccando cellule sane dell'organismo. Per evitare tale scenario il sistema immunitario ha sviluppato un processo di eliminazione dei linfociti inefficaci o auto-tossici attraverso la via apoptotica.
Come abbiamo descritto nella precedente sezione sullo sviluppo, le cellule necessitano di un continuo stimolo alla sopravvivenza. Nel caso dei linfociti T, durante la loro maturazione neltimo, il segnale di sopravvivenza dipende dalla capacità di legare antigeni estranei. Quelli che falliscono il test, ossia circa il 97% dei neoprodotti, sono destinati a morire. I sopravvissuti sono sottoposti ad un ulteriore test di auto-tossicità, quelli che risultano altamente affini a molecole proprie dell'organismo vengono ugualmente avviati all'apoptosi.
Il processo dell'apoptosi
Segni morfologici
Una cellula in apoptosi mostra evidenti caratteristiche morfologiche individuabili al microscopio.
1. La cellula diventa sferica e perde contatto con le cellule adiacenti. Questo avviene perché le proteine del citoscheletro vengono digerite da specifiche peptidasi (chiamate caspasi) che sono state attivate all'interno del citoplasma.
2. La cromatina comincia ad essere degradata e condensata (il nucleo al microscopio risulta eterocromatico).
3. La cromatina continua il processo di degradazione (in tipici frammenti lunghi 200 paia di basi circa) e condensazione in corpi addossati al nucleolemma. A questo punto la doppia membrana che confina il nucleo appare ancora completa; tuttavia, come osservano Kihlmark e colleghi[3], caspasi specializzate sono già ad uno stadio avanzato di degradazione delle proteine dei pori nucleari ed hanno iniziato la degradazione delle lamine, le proteine che “foderano” l'interno della membrana nucleare. Va notato che, mentre il primo stadio di condensazione della cromatina è stato osservato in cellule non apoptotiche, questo stadio avanzato (chiamato picnotico) è considerato preludio dell'apoptosi.
4. Il nucleolemma diventa discontinuo e le molecole di DNA sono frammentate (il processo è definito carioressi. Il nucleo si rompe in alcuni “corpi cromatinici” o “unità nucleosomiali”.
5. Il plasmalemma si rompe.
6. La cellula è fagocitata oppure si divide in più vescicole, chiamate corpi apoptotici, grazie ad un processo che prende il nome di blebbing, che sono in seguito fagocitati.
Segnali biochimici per una sicura eliminazione
La cellula morente che si avvia all'ultimo stadio dell'apoptosi, espone sulla membrana plasmatica dei segnali eat me (letteralmente, mangiami), come la fosfatidilserina. Normalmente la fosfatidilserina, fosfogliceride, si trova nello strato citosolico della membrana plasmatica, ma, durante l'apoptosi, è ridistribuita anche sulla faccia extracelluare da un'ipotetica (non ancora isolata) proteina detta scramblase (traducibile dall'inglese come l' enzima che mette in disordine). Fagociti necrofagi, come i macrofagi, hanno recettori specifici per la fosfatidilserina. La rimozione delle cellule morte è necessaria per prevenire la risposta infiammatoria[4][5]. Altri recettori presenti sui macrofagi sono quelli che riconoscono le asialoglicoproteine e lavitronectina.
In studi sugli embrioni di topo privi di recettori per fosfatidilserina (PS) condotto da Ming O. Li e colleghi[6], le cellule andate in apoptosi e non fagocitate si sono accumulate nel cervello e nei nervi, risultando letali nel periodo neonatale. D'altra parte, un altro gruppo di ricercatori che ha eliminato il medesimo gene per recettore non ha trovato anomalie nella morte cellulare, così si è aperta la discussione se il gene realmente codifichi per il recettore PS piuttosto che codificare per un fattore di trascrizione localizzato nel nucleo[7].
In un altro studio Rikinari Hanayama e colleghi[8] hanno osservato che il fattore di crescita milk fat globule-EGF-factor 8 (MFG-E8) è legato alla fosfatidilserina sulle cellule apoptotiche e aiuta i macrofagi a fagocitarne i resti. I macrofagi contenenti corpuscoli del Fleming (i quali appaiono nei macrofagi che hanno fagocitato altre cellule) esprimono fortemente MFG-E8 sulla membrana. Topi mancanti di MFG-E8 dimostrano un calo nella capacità fagocitaria delle cellule apoptotiche, legato ad un estremo incremento della produzione di immunoglobulineIgG[9].
Induttori intrinseci ed estrinseci
I messaggi pro-apoptotici provenienti dall'esterno della cellula (induttori estrinseci) saranno trattati nella sezione successiva.
Il messaggi pro-apoptotici provenienti dall'interno della cellula (induttori intrinseci) costituiscono una risposta allo stress, come la mancanza di nutrienti o un danno esteso al DNA.
Sia la via estrinseca che quella intrinseca hanno in comune l'attivazione degli effettori centrali dell'apoptosi, un gruppo di proteasi (specifiche per cisteine e aspartati) chiamate caspasi, che dirigono la distruzione degli elementi strutturali (citoscheletro) e funzionali (organuli) della cellula.
Processo biochimico
Le caspasi sono normalmente soppresse dalla proteina IAP (inibitrice dell'apoptosi)[10]. Quando una cellula riceve uno stimolo apoptotico, IAP è silenziata da SMAC (Secondo Attivatore Mitocondriale delle Caspasi) una proteina mitocondriale, che è rilasciata nel citosol. SMAC lega IAP, e legandosi "inibisce l'inibitore" che prima evitava di far iniziare la cascata apoptotica.
Prima di descrivere il rilascio di SMAC è però necessario osservare con attenzione due processi estrinseci molto studiati: le vie del TNF e del Fas.
Il fattore di necrosi tumorale (Tumor Necrosis Factor o TNF), una proteina di 157 amminoacidi con funzione di segnale intercellulare (appartenente alla classe delle citochine), è prodotta principalmente dai macrofagi, ed è il principale mediatore estrinseco dell'apoptosi. La membrana cellulare ha due recettori specializzati per TNF: TNF-R1 e TNF-R2. Il legame del TNF al TNF-R1 è considerato l'innesco della via che attiva le caspasi[11].
Il recettore Fas (o Apo-1 o CD95), è un altro recettore dei segnali apoptotici estrinseci ed appartiene alla superfamiglia dei recettori TNF[12]. Il ligando di Fas (FasL o Fas Ligand) è una proteina transmembrana ed è parte della famiglia dei TNF. L'interazione ligando-recettore si risolve nella formazione di un complesso di segnalazione che induce la morte cellulare (DISC, da death-inducing signaling complex), che contiene la Fas-associated protein with death domains (abbreviata come FADD e recante domini, detti di morte, fondamentali per la cascata pro-apoptotica) e le caspasi 8 e 10. In alcuni tipi di cellula (tipo I), le caspasi-8 attive attivano direttamente numerose altre caspasi che portano all'apoptosi; in altri tipi di cellule (tipo II), Fas-DISC inizia un processo a feed-back che aumenta il rilascio di fattori pro-apoptosi dai mitocondri e amplificano l'attivazione delle caspasi-8.
A valle dell'attivazione di TNF-R1 e Fas – almeno nelle cellule dei mammiferi – il bilanciamento tra i membri pro-apoptotici (come BAX, BID, o BAD) e anti-apoptotici (Bcl-Xl e Bcl-2) della famiglia Bcl-2 viene compromesso. Tale equilibrio è regolato dalla formazione di omodimeri nella membrana esterna del mitocondrio. La formazione di omodimeri (di BAK o BAX) è necessaria per rendere permeabile la membrana mitocondriale esterna e rilasciare, così, l'attivatore delle caspasi. Non è ancora chiaro come BAK e BAX siano controllate dalla cellula non apoptotica; ma è stato ipotizzato che una proteina di membrana mitocondriale, VDAC2, interagisca con BAK inibendola. Quando è ricevuto un segnale, prodotti della cascata di attivazione – come tBID, BIM o BAD – rimpiazzano VDAC2, così che BAK e BAX possano attivarsi e la membrana mitocondriale diventi permeabile; si è notato che queste proteine (BAK e BAX) della famiglia delle Bcl-2 hanno domini formanti pori (che appunto rendono permeabile la membrana), che favoriscono il passaggio di membrana di molecole pro-apoptotiche come il citocromo c[13][14]. Anche altre molecole sono rilasciate dai mitocondri, come SMAC o AIF.
Una volta che è stato rilasciato il citocromo c, esso si lega ad Apaf-1 e ad ATP; in seguito si unisce ad una proteina pro-caspasi-9, creando un complesso multiproteico chiamatoapoptosoma. L'apoptosoma stacca questa pro-caspasi, rendendo attiva la caspasi-9, la quale a sua volta attiva l'effettore caspasi-3.
L'intero processo richiede energia e una organizzazione cellulare non troppo danneggiata. Infatti se una cellula è danneggiata oltre un certo limite, non ha abbastanza “tempo” e “forze” di portare avanti il processo dell'apoptosi, ma va in necrosi.
Va osservato, infine, che le vie apoptotiche riassunte precedentemente sono soggette a complessi meccanismi regolatori (quello che viene chiamato Cellular Signaling Network) e non c’è una relazione biunivoca tra la ricezione dei segnali TNF o FasL con un'esecuzione completa della via apoptotica. Fas, ad esempio, è anche implicata – paradossalmente – nella proliferazione cellulare, attraverso vie non ancora scoperte; e l'attivazione sia di Fas che di TNF-R1 (i recettori per le precedenti) portano anche all'attivazione di (NF-κB) (Fattore Nucleare kappa-B), che induce l'espressione di alcuni geni che giocano importanti ruoli in diversi processi biologici, inclusi proliferazione cellulare, morte cellulare, sviluppo cellulare e risposta immunitaria.
Il legame tra TNF e apoptosi dimostra il perché una produzione anormale di TNF giochi un ruolo fondamentale in varie malattie umane, specialmente (ma non solo) in quelle autoimmuni, come il diabete e la sclerosi multipla.
Ruolo dell'apoptosi nelle patologie
Apoptosi e progressione dell'HIV
In un articolo del 2004 di Alimonti e colleghi[15] si descrive come l'HIV-1 causi l'apoptosi dei linfociti T CD4+ portando allo sviluppo dell'AIDS.
Apoptosi e ruolo degli interferoni nella soppressione tumorale
In un articolo del 2003, Takaoka e colleghi hanno descritto come gli interferoni-alfa e -beta (IFN-alfa/beta) inducano la trascrizione del gene p53, risultante in un incremento del livello di proteina p53 e l'inizio dell'apoptosi nelle cellule tumorali[16]. La proteina p53, infatti, è un soppressore tumorale, e va considerato come un fattore anti-crescita e anti-oncogenico.
Tale lavoro ha contribuito a chiarire il ruolo giocato dall'interferone nel guarire alcune forme umane di cancro e ha stabilito il legame tra p53 e interferoni. La risposta della p53, non solo contribuisce alla soppressione tumorale, ma è importante nel sostenere la risposta apoptotica anche nelle infezioni virali.
Cancro e vie apoptotiche difettose
Liling Yang e colleghi riportano in un loro articolo del 2003[17], il risultato del lavoro svolto riguardo al segnale di morte difettoso in un tipo di cancro delle cellule polmonari detto NCI-H460 (adenocarcinoma). Hanno trovato che la proteina XIAP (inibitrice dell'apoptosi X-linked) è sovraespressa nelle cellule H460. Le XIAP legano la forma attivata della caspasi-9, e sopprimono l'attività dell'attivatore apoptotico citocromo c. La via apoptotica è stata trovata altamente ripristinata nelle cellule H460 che presentavano un peptide Smac (SmacN7) che legano le IAP (proteine inibitrici l'apoptosi). Yang e colleghi hanno sviluppato con successo una SmacN7 sintetica che può selettivamente invertire la resistenza all'apoptosi – e dunque la crescita del tumore – nelle cellule H460 di topo.
L'overespressione dell'inibitore di apoptosi Bcl-2 è frequente nel linfoma follicolare.
Ruolo dei prodotti apoptotici nell'immunità ai tumori
Un interessante caso di riutilizzo e feed-back dei prodotti dell'apoptosi è stato presentato da Matthew L. Albert in un articolo, con cui ha vinto l' Amersham Biosciences & Science Prize for Young Scientists in Molecular Biology e pubblicato in Science Online nel dicembre del 2001[18]. Egli descrive come le cellule dendritiche, un tipo di cellula che presenta l'antigene, fagocitino le cellule tumorali apoptotiche. Dopo la maturazione, queste cellule dendritiche presentano l'antigene (derivato dai corpi apoptotici fagocitati) ai linfociti T killer, che poi diventano specifici per distruggere le cellule che stanno subendo una trasformazione maligna. Questa via apoptosi-dipendente per l'attivazione dei linfociti T non è presente durante la necrosi ed ha aperto interessanti possibilità nella ricerca sull'immunità tumorale.
Apoptosi e Necrosi
L’apoptosi, certamente, non deve essere confusa con la necrosi, processo anch’esso responsabile della morte delle cellule, senza che questo comporti necessariamente la morte dell’organismo (quando, ad esempio, una mano o un tessuto muscolare viene colpito da necrosi, è necessaria la sua amputazione, ma non la morte dell'organismo, in questo caso l'uomo, coinvolto). Nella necrosi si osserva la lisi (cioè la disgregazione parziale o totale) della cellula: il nucleo si distrugge fino ad uniformare la cromatina con il citoplasma, lamembrana cellulare o plasmatica si disgrega velocemente e il citoplasma si riversa all'esterno danneggiando le pareti di altre cellule e i suoi organuli. Ciò determina una reazione immunitaria imprevista dell’organismo e una probabile risposta infiammatoria[19]. La necrosi è dunque un fenomeno patologico. Esiste, comunque, un processo detto apoptonecrosi o necroptosi, per il quale una cellula che comincia i processi apoptotici, se giunta ormai ad un punto in cui non può tornare indietro, non ha più disponibilità di ATP (necessaria all'apoptosi), termina la sua morte programmata con le caratteristiche della necrosi.
L'apoptosi come bersaglio terapeutico
Sicuramente, la prima classe di patologie che può trarre beneficio dall'induzione del processo apoptotico sono i tumori.
Per definizione, le cellule tumorali sono afinalistiche ed immortali. Sfuggono alla morte per soppressione dell'apparato apoptotico, grazie allo stato oncogenico in cui si trovano. Numerosioncogeni sono direttamente soppressori dell'apoptosi, come c-Raf, c-Myc e c-Fos. Gli oncogeni possono agire sia riducendo la sintesi di componenti cellulari necessari all'apoptosi (come le caspasi e proteine come Bax) o stimolare la sintesi di soppressori dell'apoptosi (come le famose proteine Bcl-2 e Bcl-XL).
Diviene logico che trovare farmaci che interferiscano con tali proteine può fornire un mezzo, se non selettivo, quantomeno di aiuto nel sensibilizzare le cellule neoplastiche alla morte cellulare indotta dai farmaci chemioterapici, soprattutto quando si ha la certezza della comparsa della cosiddetta "chemio-resistenza" in un paziente tumorale.
Il primo screening molecolare per individuare composti capaci di interferire con le proteine soppressive dell'apoptosi fu eseguito nel 2000. Porto' all'identificazione della molecola HA-14-1, un derivato del 2-ammino-benzopirano. La molecola non è mai entrata in sperimentazione terapeutica, ma è rimasta come strumento per lo studio dell'apoptosi in laboratorio. L'anno successivo, un altro screening porto' all'identificazione di 39 nuovi composti organici con efficienza più o meno buona nel legare Bcl-2.
In natura, esistono anche delle piccole molecole che possono interferire con l'azione protettiva di Bcl-2:
§ l'antibiotico antimicina-A3, ampiamente usato negli studi di biochimica mitocondriale;
§ l'antibiotico anti-tumorale tetrocarcina A1, mai entrato in sperimentazione per l'eccessiva tossicità verso i tessuti umani;
§ la purpurogallina, derivato del tropolone isolato da cortecce di alcuni tipi di quercia;
§ il gossipolo, polifenolo estratto dai semi della piante del cotone e dotato di azione contraccettiva.
Sino ad oggi sono state sintetizzate una decina di molecole inibitrici della funzione dei membri della famiglia BCL, con cui si continuano gli studi di laboratorio. Si riportano qui quelle più usate, alcune delle quali sono risultate efficaci nel contrastare la crescita di tumori sperimentali in certi animali di laboratorio:
§ il composto NSC 252041, risultato uno dei più efficienti;
§ il 2-metossi-8-diazo-acridone, che lega sia Bcl-2 che Bcl-XL;
§ il dibromo-violantrone o NSC 7233, specifico per Bcl-2;
§ lo YC-137, che impedisce la formazione del dimero Bcl-2/Bid;
§ l'ABT-737, inibitore quasi esclusivo di Bcl-2.
Apoptosi e Psicoanalisi
Nel suo libro "Al di là del principio del piacere" del 1920 (titolo originale: Jenseits des Lustprinzips) Sigmund Freud aveva ipotizzato che all'interno del citoplasma cellulare agisse unapulsione il cui scopo era di ricondurre la materia vivente al suo stato primordiale di materia inorganica.
Freud era stato indotto ad ipotizzare l'esistenza di questo "principio di morte":
1. dalle difficoltà e dagli insuccessi incontrati in diversi casi clinici nella riuscita della terapia psicoanalitica;
2. dalla sintomatologia presentata dalle nevrosi traumatiche, che mal si accordava col "principio del piacere" o libido;
3. dal problema del masochismo.
In queste tre situazioni la sofferenza non poteva essere convincentemente spiegata con il principio del piacere inibito dalla censura del Super Io, o con il soddisfacimento di un altro desiderio inconscio: sembrava che l'opposizione al raggiungimento del piacere fosse, in queste tre situazioni, primario. Freud fu così indotto ad elaborare la nuova teoria dell'esistenza di un principio filogeneticamente più antico della libido, che agiva contro di essa e che era insito nelle cellule stesse.
L'ipotesi di questo "istinto o pulsione di morte" (che Freud rifiutò sempre di chiamare Thanatos) fu ben presto contestata dalla maggioranza degli psicoanalisti suoi contemporanei - soprattutto da Ernest Jones - e non ebbe mai una buona accoglienza nel movimento psicoanalitico fino ai giorni nostri. Pareva impossibile che all'interno del citoplasma della cellule vi fosse qualcosa che ne provocava la morte. La scoperta dell'apoptosi sembra invece confermare biologicamente e chimicamente quella che fu allora solo un'intuizione "psicologica" del fondatore della Psicoanalisi, dato che le caratteristiche funzionali dell'apoptosi assomigliano molto a quelle, intese in senso analogico, dell'istinto di morte descritto in "Al di là del principio del piacere".
Cellula di Merkel
Le cellule di Merkel sono cellule recettoriali di forma ovale presenti nella pelle dei vertebrati. Hanno contatti sinaptici con gli afferenti somatosensoriali e sono localizzate nello strato basale dell'epidermide. Le cellule di Merkel sono i più semplici sensori di tatto e registrano la pressione esercitata sulla cute. Sono definite come sensori proporzionali (o sensori P) nel senso che trasformano una pressione doppia sulla cute in un numero di potenziali d'azione al secondo doppio. Possono diventare maligne e dare luogo al tumore della pelle conosciuto come il carcinoma delle cellule di Merkel.
Storia
Devono il loro nome a Robert Bonnet che le ha scoperte nel 1878 dopo l'anatomista tedesco del XIX secolo Friedrich Sigmund Merkel che fu il primo ad individuarne la fisiologia nel 1875.
Localizzazione
Le cellule di Merkel si trovano nella pelle e in alcune parti della mucosa (stratum germinativum) di tutti i vertebrati. Nella pelle dei mammiferi, le cellule di Merkel sono cellule evidenti nellostrato basale (nella parte inferiore delle creste dei condotti sudoripari) dell'epidermide aventi un diametro approssimativo di 10 µm. Sono presenti anche in invaginazioni epidermiche della superficie della pianta del piede.
Più spesso,sono associate alle terminazioni dei nervi sensoriali, conosciute come le terminazioni del nervo di Merkel (anche note come il complesso cellulo-neuronale). Sono associate con le fibre nervose somatosensoriali che si adattano lentamente (in inglese SA1).
Neurofilamento
Il neurofilamento [1] è una parte del neurone, di conseguenza non è presente in tutte le cellule. Più precisamente il neurofilamento è l'unità costituente delle neurofibrille. È costituita da un elevato numero di filamenti intermedi di tipo IV, e ha diametro 8-10 nm. Si trovano nel corpo cellulare del neurone, o pirenoforo, nei dendriti e nell'assone, in particolar modo negli assoni di grandi dimensioni.
Segnale elettrico
In elettrotecnica, e specialmente in radiotecnica e nell'elettronica, un segnale elettrico è, molto brevemente, una variazione di corrente o di tensione all'interno di un conduttore o in un punto di un circuito.
Caratteristica di un segnale elettrico è la possibilità di veicolare un'informazione: se all'interno di un filo elettrico scorre sempre una corrente costante di, ad esempio, 1 mA, la prima volta che andremo a misurare questa corrente riceveremo l'informazione che il valore della corrente è appunto di 1 mA; ma se eseguiremo ulteriori misurazioni (sapendo già a priori che la corrente non sta variando), otterremo sempre lo stesso valore, e non otterremo quindi nessuna informazione aggiuntiva. Se però la corrente che scorre nel filo viene fatta variare, ad esempio, da una persona che si trova nella stanza accanto, non potremo sapere a priori quale sarà il valore della corrente ad ogni successiva misurazione; ognuna di esse, quindi, ci fornirà ogni volta una nuova informazione sul livello di corrente nel filo. Se la persona che varia la corrente nel filo lo fa seguendo certe regole di cui siamo a conoscenza, sarà possibile per quella persona comunicare a noi informazione utile.
Ad esempio, la persona potrebbe utilizzare il codice binario, ossia far passare o meno la corrente nel filo, secondo un piano prestabilito: potrebbe cioè far passare la corrente per unsecondo, poi non farla passare per un altro secondo, poi non farla passare per un altro secondo, poi farla passare per un secondo, e così via.
Se questa persona identifica con "1" un periodo di tempo di un secondo in cui la corrente passa, e con "0" un secondo in cui la corrente invece non passa, e decide che un carattere alfabetico è identificato da una sequenza di 8 secondi di accensione/spegnimento della fonte di corrente, potrà descrivere questa sequenza di "accensione/spegnimento" con una sequenza di "1" e "0", ad esempio 1001011.
La persona potrebbe poi, sempre per esempio, decidere che alla sequenza 1001011 corrisponde la lettera K, alla sequenza 1000001 la lettera A e così via (vedi tabella ASCII).
Se questa persona ci ha precedentemente informato di queste sue decisioni sul significato da attribuire al passaggio/non passaggio di corrente, noi saremo in grado di ricevere da essa informazioni tramite i segnali elettrici da essa fatti passare nel filo: ci basterà misurare continuamente la corrente che scorre nel filo, confrontarla con le tabelle e convenzioni che la persona ci ha precedentemente comunicato, e potremo facilmente ricostruire l'informazione originaria posseduta dalla persona nell'altra stanza: avremo così utilizzato un segnale elettrico per far passare informazioni da un luogo ad un altro.
Il tipo di segnale visto è digitale, ma esistono anche segnali di tipo analogico. Brevemente, prendendo sempre l'esempio della corrente, potremmo far sì che la corrente stessa non venga semplicemente fatta o non fatta passare, ma regolata in modo continuo, così ad esempio da far passare prima 1 mA, poi 2 mA, poi aumentare fino a 5, scendere fino a 0.5 e così via. Potremmo poi associare, ad esempio, il livello di corrente alla temperatura presente in una stanza, ad esempio inserendo nel nostro circuito un sensore che appunto inserisce nel circuito una corrente proporzionale alla temperatura misurata; se sappiamo che il sensore è tarato in modo da far passare 1 mA quando misura 10 gradi, 2 mA quando ne misura 20 e così via, misurando il segnale analogico di corrente presente nel filo saremo in grado di conoscere la temperatura nella stanza.
Definizione
Si considera segnale una grandezza fisica la cui variazione nel tempo trasmette un'informazione.
Classificazione
I segnali vengono classificati in varie categorie, a seconda delle loro proprietà.
In riferimento al tempo si definisce:
§ segnale a tempo continuo: l'asse dei tempi può assumere un qualsiasi valore reale,
§ segnale a tempo discreto: l'asse dei tempi assume solo valori discreti, ad esempio 1, 2, 3...
In riferimento alla variabile dipendente si distinguono:
§ segnale ad ampiezza continua: i valori assunti dall'ampiezza del segnale sono numeri reali appartenenti ad un intervallo, cioè possono assumere uno qualsiasi degli infiniti valori compresi tra un minimo ed un massimo;
§ segnale ad ampiezza quantizzata: i valori assunti dall'ampiezza del segnale sono numeri naturali [con segno], cioè appartengono ad un insieme finito di valori precisi.
§ segnale bipolare o bidirezionale: assume nel tempo sia valori di tensione negativi che valori positivi.
§ segnale unipolare o monodirezionale: assume nel tempo solo valori di tensione negativi o positivi.
Da queste distinzioni si definiscono:
§ segnale analogico: segnale a tempo continuo e ad ampiezza continua
§ segnale digitale o numerico: segnale a tempo discreto e ad ampiezza quantizzata.
Inoltre, in base alla possibilità di prevedere l'ampiezza futura, i segnali si distinguono in:
§ segnale deterministico: segnale di cui si conosce esattamente l'andamento dell'ampiezza in funzione del tempo;
§ segnale aleatorio o stocastico: l'andamento dell'ampiezza è caratterizzabile solo in termini statistici, cioè l'ampiezza del segnale è una variabile aleatoria;
Un segnale può anche essere periodico o non periodico, si dice periodico quando una parte di questo si ripete nel tempo ugualmete. La parte che si ripete viene detta periodo.
Altri campi
In informatica, i segnali sono uno strumento di comunicazione tra processi.
In teoria dei segnali è definito come "grandezza fisica variabile nel tempo, a cui è assegnata un'informazione"
In acquisizione dati si parla anche di condizionamento dei segnali
Rapporto segnale/rumore
Nell'ambito di una trasmissione dati reale attraverso un sistema di telecomunicazione o un qualsiasi sistema elettronico al segnale si associa sempre del rumore, almeno quello di tipotermico, così che acquista importanza ai fini della rilevazione del segnale informativo il rapporto segnale/rumore: tanto maggiore è tale rapporto tanto più il segnale informativo trasmesso è puro e facilmente decodificabile, tanto più è basso tale rapporto tanto più il segnale informativo è corrotto dal rumore e più facilmente si commettono errori in fase di decodifica.
Tatto
Il tatto o sensibilità tattile rende l'uomo e gli animali capaci di rilevare con una straordinaria precisione, la presenza di stimoli dovuti al contatto della superficie cutanea con oggetti esterni.
I meccanismi con cui la sensibilità tattile si realizza sono in buona sostanza uguali in tutti i mammiferi, compreso l'uomo, al quale più specificatamente si riferiscono i dettagli di seguito.
Il tatto, malgrado la sua apparente semplicità, è un senso complesso, oltre che diffuso su un'ampia superficie corporea. Ogni centimetro quadrato di pelle possiede circa 130 recettori tattili, suddivisi in ben 5 diverse tipologie, che danno le seguenti sensazioni: freddo, caldo, tatto (cellule di Merkel, corpuscoli di Ruffini e corpuscoli di Meissner), variazione di pressione (corpuscoli del Pacini) e dolore.
Meccanismo della percezione
I recettori periferici specializzati (meccanoricettori) trasformano gli stimoli meccanici applicati alla cute in impulsi nervosi e li trasmettono attraverso le fibre nervose sensitive, ai centri nervosi superiori, dove vengono decodificati. Nel midollo spinale gli impulsi sensitivi tattili decorrono lungo il sistema lemniscale e lungo il sistema dei cordoni anterolaterali.
L'intensità della sensazione è tanto maggiore quanto più forte è lo stimolo, ma si discute ancora su come aumenti la sensazione all'aumentare dello stimolo. La "risoluzione" della sensibilità tattile si misura con il test clinico dei due punti che individua la distanza minima tra due punti alla quale il soggetto è in grado di percepire due stimoli puntiformi differenti.
La capacità discriminativa è direttamente proporzionale al numero di recettori presenti per unità di superficie cutanea, e raggiunge il massimo sul palmo della mano, inoltre la sensibilità tattile della mano è più sviluppata quando il soggetto muove l'arto attivamente. Questo dimostra che l'esperienza somatica più sofisticata consta nell'esplorazione attiva manuale dell'ambiente e che il sistema tattile non ha solo un ruolo passivo (che riceve ed elabora gli stimoli), ma è parte integrante della catena dei meccanismi nervosi che controllano le contrazioni muscolari, i movimenti ed in generale l'esplorazione tattile.
Cellula di Langerhans
Le cellule di Langerhans sono cellule dendritiche abbondanti nell'epidermide e negli epiteli pavimentosi. Il nome deriva dal tedesco Paul Langerhans (1847-1888) che per primo le descrisse nella pelle.
Morfologia
Le cellule di Langerhans sono cellule dendritiche, prive di tonofilamenti e desmosomi; il nucleo si presenta in una forma irregolare. L'apparato di Golgi è molto esteso e sono presenti numerose vescicole endosomiali. Contengono inoltre organelli citoplasmatici specifici chiamati granuli di Birbeck con una caratteristica forma a "racchetta". Il ruolo di tali organelli non è ancora chiaro, ma sembra siano coinvolti nei processi di endocitosi.
Funzione
Le cellule di Langerhans, di derivazione midollare, si originano per differenziamento dai monociti, ma nonostante la morfologia simile ai macrofagi hanno un ruolo più importante nel riconoscimento degli antigeni rispetto ad una funzione fagocitaria. Le cellule sono localizzate nello strato soprabasale dell'epidermide e costituiscono il 3-4% delle cellule epidermiche.
Il ruolo di tali cellule consiste nella cattura e rielaborazione degli antigeni, che vengono catturati, parzialmente degradati ed esposti sulla membrana, legati a CD1a, al fine di presentarli ailinfociti T CD4+ ristretti per MHC di classe II. Queste cellule sono in grado di captare gli antigeni che attraversano la barriera dell'epidermide e di migrare nei linfonodi drenanti, la loro regione d'origine, dove si inizia la risposta immune. Molte delle cellule dendritiche presenti negli organi e nei tessuti linfoidi, derivano probabilmente da cellule di Langerhans migrate dopo la captazione dell'antigene.
Strato spinoso
Nell'anatomia umana lo strato spinoso è una strato dell'epidermide.
Anatomia
Si trova fra lo strato granuloso e quello basale, esso è formato da cellule poliedriche che tendono ad appiattirsi verso lo strato superiore. Il nome lo si deve alle numerose estroflessioni, dette ponti citoplasmatici, che fanno assumere alle cellule l'aspetto spinoso. Tali estroflessioni presentano numerosi desmosomi, che mettono le cellule in un rapporto di contiguità. Lo spessore dello strato spinoso varia da 4 a 10 strati di cellule.
Funzionalità cellulare
Le cellule dello strato spinoso sintetizzano proteine come l'involucrina che si depositano nello spazio intercellulare degli strati sovrastanti. Si osservano inoltre granuli di melanina, sintetizzata dai melanociti e cheratinosomi, organuli contenenti materiale lipidico che deve essere rilasciato nello spazio intercellulare del successivo strato granuloso, allo scopo di costituire una barriera all'acqua.
Germi
Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità o anche Major Histocompatibility Complex (MHC) (in inglese) è un gruppo di geni polimorfici costituito da 30 unità (tuttora individuate), localizzato sul cromosoma 6 (nel topo sul cromosoma 17). Le più conosciute codificano per proteine espresse sulla membrana cellulare le quali espletano una funzione di riconoscimento di alcuni agenti proteici da parte dei linfociti T, ma contiene i geni anche di altri importanti peptidi come la 21 idrossilasi, le frazioni del complemento C4B,C4A,BF e C2, la proteina chaperone HSP70 (Heat Shock Proteins cioè proteine indotte da danno termico) e i geni della famiglia del TNF (Tumor Necrosis Factor o Fattore di Necrosi Tumorale).
I prodotti genici tipici del complesso MHC legano frammenti di antigeni ad una porzione di tale molecola, rendendoli visibili ai recettori dei linfociti T. Identificati inizialmente in quanto responsabili del fenomeno del rigetto dei trapianti, si è in seguito potuto verificare l'esistenza di due principali classi di queste molecole e geni: la classe I (MHC-I: tre copie per ogni cromosoma) e la classe II (MHC-II: sei copie per ogni cromosoma). Essi sono responsabili di situazioni fisiologiche, e talvolta patologiche, nettamente differenti nell'ambito dell'organismo.
Infatti, mentre i prodotti dei geni MHC-I sono antigeni direttamente implicati nel fenomeno del rigetto, quelli che derivano dall' MHC-II sono attivi nei fenomeni di cooperazione cellulare che si verificano nell'ambito della risposta immunitaria.
Nell'uomo l'MHC prende il nome di Human leukocyte antigen (HLA).
Le molecole di Classe I vengono espresse pressoché su tutte le cellule nucleate (in cellule prive di nucleo, come i globuli rossi, vengono espresse in piccolissime quantità) e sono formate da un polipeptide transmembrana di 44.000 dalton, codificato dall'MHC, associato alla β2-microglobulina, una molecola invariante di 15.000 dalton codificata dal cromosoma 15.
Le molecole HLA di Classe II sono presenti solo su alcune cellule immunocompetenti, in grado di effettuare la presentazione dell'antigene (APC da antigen presenting cell), quali cellule dentritiche, linfociti B e macrofagi. Inoltre la loro presenza, anche su queste cellule, non è costante, ma soggetta a modulazione, cioè possono essere presenti o meno a seconda dello stato di attivazione della cellula. Questa espressione viene modulata dalla presenza o meno di alcune interleuchine e/o interferoni.
Le molecole di Classe II sono proteine di membrana eterodimeriche, formate cioè da una catena α (che varia fra i 33.000 e i 34.000 dalton), e da una catena β (fra i 28.000 e i 29.000 dalton), entrambe codificate dall'MHC. C'è poi una terza catena, detta invariante, che non attraversa la membrana cellulare. Questa catena invariante (Ii) ha funzione di chaperone e di indirizzamento del complesso MHC-II dal reticolo endoplasmatico alle vescicole, dove viene degradata lasciando solo un frammento di essa (CLIP) a occupare il sito in cui andra a collocarsi successivamente il peptide da esporre.
Sia le molecole di classe I che quelle di classe II fungono da bersaglio per i linfociti T, che regolano la risposta immunitaria. Affinché un antigene venga legato su una molecola di membrana MHC dev'essere processato. Ammettiamo che l'APC sia un macrofago. Quest'ultimo fagocita ciò che è stato riconosciuto come estraneo (ad esempio una cellula batterica) e svolge la sua azione battericida grazie alla quale sarà possibile la processazione del germe, ovvero quel processo al termine del quale l'antigene (porzione proteica) si legherà ad una molecola MHC classe I o II. Più precisamente se la processazione avrà una fase citosolica (comune per proteine di derivazione virale) l'Ag si legherà ad MHC I implicando l'attivazione di un tipo di linfociti T chiamati "citotossici" o "CD8+". I linfociti T citotossici sono effettori diretti delle risposta immunitaria specifica cellulo-mediata, determinando la lisi delle cellule che li hanno attivati. Se invece la processazione avverà esclusivamente in vescicole endosomiali (tipico per proteine di derivazione batterica), l'Ag si legherà ad una molecola MHC II con conseguente attivazione dei linfociti T "helper" o "CD4+". Questi svolgono la propria attività producendo citochine che contribuiranno all'attivazione di linfociti B (linea Th2) o all'attività citotossica dei linfociti T CD8+ (lineaTh1). I linfociti B costituiscono il ramo "umorale " della risposta immunologica specifica.
Altre proteine del complesso MHC
Esistono poi altre molecole del complesso MHC che hanno forma e funzioni spesso correlate alle classi 1 e 2:
§ HLA-B
presente in diverse specie in numerose varianti, riconosce e presenta al sistema immunocompetente peptidi virali o batterici attivando i linfociti citotossici.
§ HLA-E
poco espresso. lega le sequenze leader prodotte durante a sintesi dell'MHC di classe 1. serve a inibire le cellule NK
§ HLA-F
presente sui linfociti B è monomorfica e lega oligosaccaridi estranei
§ HLA-G
inibisce le cellule NK durante lo sviluppo embrionale
§ HLA-H
Implicata a livello intestinale nell'assorbimento del ferro
§ MIC A e B
espresse nei fibroblasti e nell'endotelio se sottoposti a stress. Attivano i linfociti NK e gamma-delta
Polimorfismo dei geni MHC
Nell'uomo le molecole dell'MHC sono codificate da un complesso genico situato sul braccio corto del cromosoma 6. I geni per le molecole MHC di classe II nell'uomo (HLA-D), sono divisi in famiglie, ognuna codificante le catene α e β, che vanno a formare il dimero. Le tre famiglie principali prendono il nome di DP, DQ e DR. Ogni famiglia esprime geni per entrambe le catene del dimero proteico.
I geni dell'MHC sono polimorfici e questo polimorfismo è molto alto. La definizione univoca degli alleli di ogni singolo locus è stata affrontata a partire dal 1967 ad opera di un comitato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
L'operazione di definizione dei differenti alleli che caratterizzano un individuo prende il nome di determinazione dell'aplotipo o anche, nell'uomo, di tipizzazione HLA.
Il polimorfismo dei geni MHC è di grande rilevanza nel definire qualità e quantità della risposta immunitaria di un individuo. È un fatto noto che organismi diversi si comportano in maniera diversa di fronte ad agenti esterni.
Associazione fra HLA e malattie
Si è verificato statisticamente che esistono alcune malattie che risultano colpire con maggiore frequenza individui con un certo aplotipo HLA. Per alcune l'associazione è piuttosto forte, per altre più sfumata. Non sono noti i motivi di questo fatto. Fra le malattie che presentano questa associazione si possono segnalare la Spondilite Anchilosante, il Diabete MellitoInsulino Dipendente, l'Artrite Reumatoide.
Restrizione dell'MHC
Il recettore delle cellule T è specifico per una combinazione tra peptide antigenico e l'antigene di superficie esposto dall'individuo. Dato che ogni essere umano può esprimere almeno 6 differenti MHC e il numero di recettori per l'antigene sulle cellule T è stimato essere 10-15, ciascuno può riconoscere un potenziale antigene. La tasca che lega i peptidi presenta sia un sito di legame per sequenze comuni a tutti i peptidi, ma anche siti di specificità. Ciò rende possibile legare più peptidi, permettendo comunque di far legare a ciascuna forma allelica peptidi di origine diverso.
Linfocita
I linfociti sono cellule presenti nel sangue che costituiscono tra il 20 e il 40% dei leucociti (secondo i dati delle formule leucocitarie riconosciute). Hanno la dimensione di 7-15 micrometri (piccoli linfociti fino a 8 micrometri e grandi linfociti da 9 in su), con un nucleo rotondeggiante, un citoplasma scarso (si riduce a un sottile anello) e pochi granuli. La cromatina risulta molto addensata e al microscopio elettronico è possibile distinguere un nucleolo (contrariamente a quanto si pensasse precedentemente). Svolgono un ruolo molto importante nel sistema immunitario: sono la struttura portante della nostra risposta immunitaria adattativa (ovvero specifica per un tipo di antigene). I linfociti derivano dalla linea linfoide delle cellule staminali multipotenti presenti nel midollo osseo e a seconda del luogo, all'interno dell'organismo, nel quale avviene la maturazione cellulare, si ottengono due linee linfocitarie ben distinte: i linfociti B (da Bursa, con riferimento alla 'borsa di Fabrizio' scoperta da Girolamo Fabrici d'Acquapendente negli uccelli e dove si sviluppano i linfociti B ) e i linfociti T (da timo). Il luogo di maturazione dei linfociti risulta appunto diverso a seconda delle caratteristiche che questi hanno; il linfocita T infatti matura pienamente nel timo, mentre i linfociti B e NK (Natural Killer, i nostri linfociti "ancestrali") hanno piena maturazione nel midollo osseo, ovvero dove nascono.
Differenziamento linfocitario
Nel differenziamento linfocitario si possono individuare principalmente due fasi: una fase antigene-dipendente e una antigene-indipendente.
Nella fase antigene-indipendente, che avviene negli organi linfoidi primari (midollo osseo e timo), vengono inizialmente prodotti linfociti provvisti di tutti i recettori per ogni tipo di antigene; successivamente alla fine di questo processo sono isolabili linfociti maturi che sono considerabili come "vergini" in quanto saprebbero riconoscere l'antigene ma non lo hanno mai incontrato direttamente. Nella fase antigene dipendente che si svolge negli organi linfoidi secondari (milza, linfonodi, ecc.) vi è l'incontro tra l'antigene e il linfocita che possiede il recettore adatto.
A questo punto si formano due categorie di cellule:
1. cellule della memoria, un pool di cellule capaci, in caso di rimanifestarsi dell'attacco patogeno, di velocizzare moltissimo (per scatenare una risposta linfocitaria adatta a contrastare un attacco patogeno sono necessari dai 3 ai 5 giorni circa) la risposta adattativa da affiancare alla risposta innata;
2. cellule effettrici, in grado esse stesse di combattere e distruggere il patogeno (esempio per i linfocita B le plasmacellule)
Tutte le cellule della linea leucocitaria derivano da un unico progenitore staminale multipotente riconoscibile dalla molecola CD34 (la cellula esprimente la proteina è indicata come CD34+). Successivamente viene creata una cellula staminale linfoide. Vi sono tuttavia delle patologie in cui questa maturazione non va a buon fine come per esempio le immunodeficienze combinate o Scid. I linfociti maturi sono riconoscibili in quanto esprimono 5 famiglie di recettori:
§ i recettori per l'antigene,
§ i recettori MHC (complesso maggiore di istocompatibilità),
§ recettori per fattori di crescita,
§ recettori Homing (consentono al linfocita di essere indirizzato verso un organo linfoide secondario oppure verso un organo specifico in cui vi è proliferazione di patogeni),
§ recettori di interazione tra cellula e cellula.
Linfociti B
I linfociti B prendono il loro nome da un organo degli uccelli chiamato "borsa di Fabrizio", nel quale furono scoperti per la prima volta. Sono cellule che, in seguito a stimolazione, sono capaci di proliferare e trasformarsi in cellule effettrici, le plasmacellule, queste ultime capaci di produrre anticorpi. Gli anticorpi o immunoglobuline sono proteine specifiche che riescono ad identificare in maniera precisa e pressoché univoca specifici antigeni. Sono note 5 classi di Ig (dette M, A, G, D ed E). I linfociti "vergini", ma che hanno comunque raggiunto un discreto grado differenziativo sono evidenziabili grazie alla molecola IgM esposta in membrana. Giunto a questo livello differenziativo (detto linfocita B immaturo) uscirà dagli organi linfoidi primari per dirigersi verso i secondari dove continuerà il suo iter differenziativo andando ad esprimere in membrana le IgD e acquisendo quindi competenza funzionale. La cellula B ormai matura dovrà solo aspettare all'interno della nicchia dell'organo linfoide la presentazione di un antigene specifico. Una volta che l'agente patogeno viene circondato da anticorpi sensibili ad uno o più antigeni del patogeno stesso, viene attivato il sistema del complemento che provvede alla lisi del patogeno e richiama i macrofagi che "divorano" il patogeno. Il linfocita B può anche usare un sistema di opsonizzazione limitandosi a rendere il patogeno riconoscibile al macrofago oppure, in caso di presenza di tossine, può provvedere a neutralizzarle affinché sempre il macrofago (lo spazzino dell'organismo) possa poi distruggerle.
Recettore dei linfociti B
È costituito dalle Ig di membrana (IgM e IgD) e da alcune molecole corecettoriali denominate Ig-alfa e Ig-beta. Questo recettore è coinvolto nel processo di attivazione funzionale della cellula; ogni cellula avrà il suo BCR (B-Cell Receptor) specifico originatosi dalla ricombinazione casuale di specifiche porzioni del DNA che andranno a codificare per la porzione variabile del BCR deputata al legame con un antigene specifico. Nel momento in cui il BCR incontra un antigene a se complementare andrà ad attivare una cascata di segnali intracellulari che modificheranno l'espressione genica e di fatto il fenotipo cellulare. Il BCR internalizzerà l'antigene e, mediante un processo particolare, lo esporrà su specifiche molecole di membrana denominate MHC di classe II. La cellula B attivata potrà migrare verso specifiche aree dei linfonodi dette aree T (grazie all'espressione di specifiche Chemochine) dove avrà modo di incontrare linfociti T Helper. Il recettore di membrana dei T helper combinandosi con BCR va ad attivare una ulteriore cascata del segnale all'interno della cellula B che porterà all'attivazione di un fattore di trascrizione denominato TRAF che indurrà l'attiva proliferazione. L'enorme quantità di cellule B prodotte andrà a costituire un centro germinativo all'interno del linfonodo dove attuerà processi di ulteriore maturazione quali: scambio isotipico, maturazione dell'affinità e produzione di cellule della memoria.
Linfociti T
I linfociti T riescono a riconoscere un antigene solo se esso viene "presentato" sulla superficie di una cellula complessata con le proteine del Complesso maggiore di istocompatibilità(MHC), e non quindi nella sua forma solubile. I linfociti T possiedono un sistema di recettori, TCR/CD3, tramite i quali riescono a riconoscere il peptide antigenico, presente in un complesso con le proteine dell'MHC. Inoltre i superantigeni possono anche attivare in modo piuttosto aspecifico una grande popolazione di cellule T legandosi direttamente alle molecole MHC espresse su queste cellule senza che sia necessario il processamento. Queste sostanze sono prodotte da vari microorganismi come ad esempio streptococchi e stafilococchi.
I peptidi espressi sulla cellula assieme alle proteine dell'MHC non derivano solo da antigeni, ma anche dal metabolismo cellulare, dopo digestione nel proteosoma, e possono essere quindi anche "molecole self", vale a dire proprie dell'organismo stesso e non provenienti da organismi estranei. Nel caso in cui una cellula sia infettata da virus, il virus stesso ineluttabilmente induce la cellula a produrre delle proteine che servono alla proliferazione virale e alcune di queste proteine virali vengono lise dai proteosomi e presentate sulla cellula infetta provocando il marcamento per un linfocito di tipo T della cellula infettata. I linfociti T non hanno però solo una funzione effettrice capace di eliminare cellule tumorali, infette e organismi patogeni, ma hanno anche una funzione regolatrice tramite la produzione di linfochine, molecole che sono alla base di fenomeni di cooperazione cellulare nella risposta immunitaria. Le cellule a funzione effettrice possiedono la molecola di riconoscimento CD8 (sono dette CD8+) e sono i linfociti T citotossici (CTL); le cellule con funzione regolatrice sono marcate dalla CD4 (dette CD4+) e sono i linfociti T helper (CTH).
I linfociti T hanno una metodologia di differenziamento particolare che avviene nel timo. Nella zona capsulare di questo possiamo trovare i timociti, linfociti non ancora maturi, che esprimono sulla loro superficie la molecola CD7 e non quella caratterizzante la loro specie linfoide, la CD3. Un secondo stadio avviene nella zona corticale in cui i timociti sono immersi in maglie epiteliali che producono fattori di crescita aiutandone così la maturazione. Successivamente vi è un riarrangiamento del TCR/CD3 che è molto simile a quello delleimmunoglobuline. In questo stadio il linfocita esprime sia CD4 (tipica del t helper) sia CD8 (tipica del Vibrocite effettore). Da ricordare che le cellule CD8+ riconoscono le MHC del primo gruppo mentre i CD4+ quelle del secondo gruppo. Molto importanti per il sistema immunitario e linfoide sono le cellule dendritiche del sistema immune che permettono il corretto espletamento delle funzione delle cellule di linea linfoide. Le cellule dendritiche sono capaci infatti non solo di captare proteine virali espulse dalla cellula per presentarle ai linfociti negli organi linfoidi secondari ma svolgono anche una funzione di smistamento nel timo corticale dei linfociti che potrebbero essere dannosi per l'organismo riconoscendo una cellula "self" come "non self" avendo un complesso TCR/CD3 mal funzionante. Un altro sistema di selezione sembra essere quello delle cellule nurse che una volta sembravano deputate a istruire i linfociti mentre oggi sembrano avere una funzione selettiva.
Linfociti NK
I linfociti NK (Natural Killer) sono un tipo molto curioso di linfociti. Sono sempre del tipo grande e costituiscono il 20% della popolazione linfoide. Possiedono alta attività antitumorale e antivirale pur non essendo soggetti a espansione genica. Il Vibrocite NK possiede due importanti recettori FCὟR e NCR. Gli FCὟR sono capaci di riconoscere un patogeno mentre gli NCR sono capaci di uccidere indiscriminatamente. Per evitare possibili complicazioni, i NK sono stati dotati dall'evoluzione di KIR (Killer Inibitor Receptors) in grado, riconoscendo le molecole HLA di primo tipo, di evitare la morte cellulare della cellula. Non tutti i Vibrociti NK sono dotati di complesso NCR/KIR. La molecola CD56 è invece presente su tutta questa famiglia linfoide. Queste molecole possono presentarsi nella forma Dim (ovvero essere deputate alla venuta del linfocita NK nel sito infiammatorio) e nella forma Bright (in cui sono deputate al richiamo del linfocita nell'organo linfoide secondario). Questi meccanismi di richiamo sono indotti da fattori chemiotattici come quelli della famiglia IL (esempio IL8,Interleuchina 8).
Voci correlate
Melanocita
I melanociti sono cellule presenti nell'epidermide, seconde come numero ai cheratinociti, sono circa 1500/mm². Hanno forma tondeggiante presentano dei prolungamenti che vanno a formare un reticolo a livello della giunzione dermoepidermica.
Caratteristica peculiare dei melanociti è quella di avere nel loro citoplasma numerosi granuli detti melanosomi che contengono il pigmentomelanina.
Melanogenesi
I melanociti, presenti nello strato basale, derivano, per migrazione durante lo sviluppo embrionale, dalle creste neurali.
La melanogenesi è il processo biochimico, svolto dai melanociti, che porta alla formazione della melanina.
I melanociti sintetizzano un enzima detto tirosinasi o DOPAossidasi contenuto all'interno dei premelanosomi (organuli a forma di pallone di rugby nei soggetti biondi o bruni mentre sferico nei soggetti con i capelli rossi).
L'enzima tirosinasi è in grado di convertire l'amminoacido tirosina o monoidrossifenilalanina in melanina, la tirosina se esposta ai raggi ultravioletti si ossida divenendo diidrossifenilalanina o DOPA che funge anch'essa da substrato della tirosinasi. La tirosinasi trasforma la tirosina in melanina molto lentamente, mentre la formazione della melanina a partire da DOPA è molto più veloce. Una volta che è stata prodotta la melanina, i melanociti possono trasferirla attraverso la secrezione citocrina ai cheratinociti dello strato basale e spinoso dell'epidermide. Le cellule che accettano la melanina sono chiamate melanofori. Si pensa che la melanina sia trasferita anche alle cellule del connettivo come i macrofagi creando così uno scherma melaninico. I melanociti sono in proporzione di uno a 36 rispetto ai cheratinociti, nelle zone più pigmentate (nei capezzoli e nel sacco scrotale) arrivano a un rapporto di uno a quattro.
Melanina
La melanina, o più propriamente le melanine, dal greco antico μέλας (mèlas = nero), sonopigmenti neri bruni o rossastri appartenenti a diverse classi di composti chimici. I poliacetileni, le polianiline e i polipirroli e relativi copolimeri sono pigmenti per lo più artificiali ed utilizzati tecnologicamente per le loro proprietà conduttive e semiconduttive. Le melanine propriamente dette e più conosciute, sono molecole biologiche diffuse in animali vegetali e protisti, con diverse funzioni, la più nota ma non l'unica delle quali è quella propriamente pigmentaria, cioè atta al conferire alla struttura una colorazione propria.
La presenza di melanina nei batteri e negli archeobatteri è tema di dibattito fra i ricercatori nel campo.
Le melanine di origine biologica
La forma più comune di melanina biologica, deriva dal metabolismo dell'amminoacido tirosinaed è un polimero di uno o due molecole di monomeri: indolochinone, e acido dicarbossilico del diidrossiindolo.
Negli esseri umani, la melanina è nella pelle, nei capelli e nel tessuto pigmentato che è posto sotto l'iride, nel midollo e nella zona reticularis della ghiandola surrenale, nello stria vascularis dell'orecchio interno e nel pigmento di alcuni tipi di neuroni situati nel locus coeruleus, nel Ponte di Varolio, nel nucleo motore del nervo vago e nella substantia nigra delsistema nervoso centrale. La melanina è la determinante primaria del colore della pelle umana.
La melanina dermale è prodotta dai melanociti che sono nella parte basale dell'epidermide, che la producono quando sono esposti alla luce ed in particolare alla radiazione ultravioletta(UV) nel campo da 380 a 410 nanometri (UVA), presente in natura principalmente nello spettro della luce solare, grazie alla mediazione dei neuroni del sistema nervoso.
Anche se tutti gli esseri umani possiedono una concentrazione generalmente simile di melanociti nella pelle, l'attività dei melanociti è differente in individui appartenenti a diverse popolazioni esprimendo più frequentemente o meno frequentemente i geni melanina-produttori, conferendo con ciò una maggiore o minore concentrazione di melanina nella pelle e quindi una diversa pigmentazione.
Alcuni individui sia di animali che umani hanno pochissima o nessuna melanina nella loro epidermide, una condizione nota come albinismo. La melanina è l'agente che protegge la vita dagli effetti dannosi della radiazione ultravioletta solare[1]. Effettivamente la fotoprotezione della pelle umana è ottenuta mediante una efficiente conversione interna da parte di DNA, proteine e melanina, un processo fotochimico che converte l'energia dei fotoni UV in piccole quantità di calore, assolutamente innocua. Se l'energia dei fotoni dei raggi UV non venisse trasformata in calore, quindi porterebbe ad una generazione di radicali liberi o altre specie reattive dannose (ad esempio ossigeno atomico, o radicali idrossili). La melanina naturale ha una resa quantistica (percentuale di molecole che partecipano al processo di conversione energetica) superiore al 99%, molto più elevata, per esempio, dei filtri solari sintetici. Recenti studi suggeriscono che questo polimero possa avere funzioni diverse nei vari organismi. Per esempio negli invertebrati, un aspetto notevole del sistema di difesa immunitario contro i patogeni comporta la presenza di melanina. Entro pochi minuti dopo un'infezione, il microbo è incapsulato all'interno di melanina (melanizzazione), e si pensa che la generazione di sottoprodotti durante la formazione di questa capsula contribuisca alla loro uccisione.
Classi di melanine naturali
Negli umani le forme più frequenti di melanina sono
§ Eumelanina. La natura precisa della struttura molecolare della eumelanina è oggetto di studio. fondamentalmente è però composta da polimeri del 5,6-diidrossiindolo (DHI) e dell'acido 5,6-diidrossiindolo-2-carbossilico (DHICA). L'eumelanina esiste nei capelli di colori grigio, nero, giallo, e marrone. Negli esseri umani, è più abbondante in persone con pelle scura. Ci sono due tipi diversi di eumelanina, che si distinguono per il loro modo di formare legami polimerici. I due tipi sono comunemente indicati come eumelanina nera ed eumelanina marrone o bruna. In assenza di altre cause una piccola quantità di eumelanina nera causa i capelli grigi, mentre una piccola quantità di eumelanina marrone rende i capelli di colore giallo (biondo).
§ Feomelanina si denomina invece un altro pigmento, rosso, che si trova anche nella pelle e nei capelli sia in individui di pelle chiara che scura. In generale le donne hanno più feomelanina degli uomini, e, quindi, la loro pelle è generalmente più rosata. La molecola conferisce un colore di tonalità dal rosa al rosso e, quindi, si trova in grandi quantità in particolare in soggetti dai capelli rossi. La feomelanina è particolarmente concentrata nelle mucose. Chimicamente, la feomelanina differisce dall'eumelanina per la presenza nell'oligomero di benzotiazina , invece di DHI e DHICA quando oltre alla tirosina è presente l'aminoacido L-cisteina. Analogamente alla precedente, per la diversità dei legami polimerici possibili, anche la feomelanina è presente in due tipi: rossa e gialla.
§ Neuromelanina è infine il pigmento scuro presente nei neuroni cerebrali, in quattro nuclei facilmente visibili autopticamente, appunto per la loro colorazione scura: la substantia nigra - pars compacta, il locus ceruleus, il nucleo motore dorsale del nervo vago (nervo cranico X), e i nuclei mediani del rafe. Questi nuclei non sono pigmentati al momento della nascita, ma sviluppano la pigmentazione nel corso della maturazione. Anche se il carattere funzionale della neuromelanina non è del tutto noto, nel cervello, può essere un sottoprodotto della sintesi di monoaminoneurotrasmettitori. La perdita di neuroni pigmentati da specifici nuclei è stata vista in una varietà di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e l'Alzheimer. La neuromelanina è stata osservata nei primati e nei carnivori.
Il fenomeno osservato, reale, mette in relazione aspetti macroscopici con fenomeni forse correlati al trasporto di elettroni da parte di molecole a proprietà semiconduttive e collegate alla via metabolica di importanti neurotrasmettitori. La corretta comprensione di tutti i ruoli biologici di questa classe di molecole fa parte della ricerca corrente. La melanina tra l'altro, viene considerato il migliore materiale fonoassorbente noto. Le patologie di cui sopra sono evidenti in medicina umana principalmente nella Sindrome di Waardenburg, una malattia a trasmissione genetica, autosomica dominante.
§ Allomelanine vengono chiamate cumulativamente le melanine naturali non di origine animale. I precursori sono composti non azotati. Tra di esse l'aspergillina di origine fungina (dalle spore di Aspergillus niger e da non confondere con omonimi antibatterici), e gli acidi umici di origine vegetale, e presenti in terreni, torbe e carboni. Gli acidi umici sono essenzialmente polifenoli ed hanno la capacità di chelare il Ferro ed altri metalli.